SEGNI DI PASSAGGIO. Hohokam di Fabio Pusterla è un libro d’arte che si compone di una poesia inedita di Fabio Pusterla, un’incisione di Luciano Ragozzino e una nota critica di Elisabetta Motta. Questa edizione è stata composta e stampata a mano con caratteri Magister su carta Amatruda di Amalfi con i torchi dell’Ex gelateria di via Guinizelli 14 per i tipi de Il ragazzo innocuo in 50 esemplari numerati e firmati nel mese di marzo 2021.
Nota critica di Elisabetta Motta a Hohokam
Hohokam è un testo nato dalla riflessione intorno a una delle tante civiltà scomparse e al tema della presenza /assenza umana nel paesaggio. Se da un lato cogliamo un senso di perdita irreversibile verso Those who vanished, a causa dell’azione corrosiva del tempo e delle difficoltà nel seguire le loro esili tracce, dall’altra parte però si avverte una sorte di “sospensione”, come se dall’interno stesso di questa “mancanza” potessero fiorire nuove occasioni di vita e di conoscenza. Esse sono simboleggiate dall’irrompere delle varie “Angelicanze”, riconoscibili solo da chi sa abbandonarsi alla vita fluttuante dello spirito, ma anche dai vari “segni” che tracciati «sopra un sasso / o nel fumo di un antro» confusamente parlano di noi. Solo la coscienza di una storia (e di una preistoria) alle nostre spalle e uno sguardo “altro” sul mondo permettono di svelarne il senso e ricondurli, tramite l’intuizione poetica, ai simboli e agli archetipi che giacciono nella nostra “caverna interiore”, ristabilendo dei punti di contatto e tessendo dei fili esistenziali fra le varie figure.
Nel finale, la percezione di un tempo non lineare, ma ondoso, dischiude le porte ad un altrove in cui sarà forse possibile «svanire» per «ritornare segni di passaggio», riattivando così un dialogo interrotto in virtù del pathos artistico.
HOHOKAM di Fabio Pusterla
Those who vanished
hanno lasciato tracce
di non si sa più cosa
come uno zampettio su sabbie fragili:
muri crepati, altane
ora deserte, piste.
La loro assenza angelica
ci turba e ci consola
quando il cielo è più basso
e vaste nere nuvole
ci schiacciano. A volte sopra un sasso
o nel fumo di un antro
un segno parla di noi senza farsi capire.
Dice che c’è qualcosa di più grande
un modo di sentire.
Che il tempo ha uno spessore
e non procede come freccia impavida
che ignora il suo finire.
Se il tempo è come un’onda
come una macchia d’olio nello spazio
se la sua curva porta in direzioni
vaghissime e possibili
forse potremo svanire anche noi
per ritornare segni di passaggio.