Recensione di Elisabetta Motta Testo critico (PDF)
Via provinciale di Giampiero Neri (Garzanti 2017)
Giampiero Neri, che da poco ha compiuto novant’anni, ancora splendidamente attivo nel panorama poetico contemporaneo, ci fa dono di un nuovo libro Via Provinciale (Garzanti, 2017), in cui ancora una volta attinge dalle sue principali fonti di ispirazione: la memoria, la storia e la natura. Neri riattiva la memoria attraverso un cammino a ritroso che lo porta a recuperare eventi del passato, ma anche luoghi, architetture, persone, con una attenzione quasi ossessiva al dettaglio, ad ogni minimo particolare. In contrapposizione con le immagini che sembrano annebbiarsi, come la fotografia di don Paolo (missionario comboniano di cui si parla nella prosa di p.31), che Giampiero ha sempre tenuta nel portafoglio e che ora «è come svanita e si riconosce a malapena», la parola sembra invece operare quella resistenza che porta a sottrarre all’oblio luoghi e volti cari.
Tornano i ricordi dell’infanzia negli anni Trenta, il biennio del 1943-1945, e sono proprio i ricordi lontani, in particolare quelli della guerra e quelli più dolorosi a tornare in modo più vivido, con un itinerario che ricorda quanto aveva scritto in precedenza in Dallo stesso luogo «Come l’acqua del fiume si muove / contro corrente vicino alla riva/ si disperde dentro fili d’erba / lontano dal suo centro/ la memoria fa un cammino a ritroso/ dove una materia incerta/ torna con mille frammenti». Ci riporta così sui banchi di scuola, al magistrale corpo insegnanti dell’Istituto Carlo Annoni: la bionda insegnante di latino, l’ostinata maestra di musica, il preside, il professor Fumagalli, insegnante di lettere che tanta importanza ha avuto nella formazione di Neri, a cui in precedenza ha dedicato un libro Il professor Fumagalli e altre figure. Il passato è davvero lì, dietro l’angolo, e basta poco a Giampiero Neri per risvegliarlo e riportarlo alla luce, con una scrittura senza fronzoli, che mira all’essenziale, con «piccole scosse sintattiche e scarti minimi di senso», «abbagliante nella sua semplicità» come ha scritto Paolo di Stefano sulle pagine del Corriere della Sera (Tengo i segreti sono un cuoco geloso 29 /01/2017 ).
Neri è un poeta in cerca di verità, che riflette sulle ragioni della sua poetica: «Che uno scrittore cerchi di arrivare al centro dei suoi interessi come alle ragioni per cui scrive, è molto probabile, ma che ci arrivi è tutt’altra cosa. A impedirlo si frappongono diverse cause, quando ne basterebbe una soltanto. Se ci arriva, la sua scrittura ne trabocca, altrimenti ripiega su se stessa, su meno alti traguardi»( p. 41).
Non nasconde il suo entusiasmo per un grande come Vasilij Grossmann e per il suo capolavoro Vita e Destino che induce a riflettere sul mistero dell’esistenza: «Una delle poche consolazioni che si hanno a leggere le 827 pagine di Vita e destino di Vasilij Grossman è pensare di leggerlo una seconda volta. Non tanto e non solo perché la prima non si è capito abbastanza, ma perché con Vita e destino si ha l’impressione di essere a un passo dalla comprensione di tutto. L’impressione è entusiasmante. Quando mai ne abbiamo avuto una uguale? … (p.43).
Appassionatosi a forme filosofiche di religiosità come lo Zen e la letteratura taoista, mi ha ricordato, durante la mia recente visita nella sua abitazione milanese, la storia di un giovane monaco, Hakuin, il quale rimase impressionato dalle pennellate di un vecchio maestro zen: anche se erano più grezze, traspariva da esse una maggiore realizzazione interiore, un’unità di corpo e spirito che nei suoi lavori era assente. Ebbe allora a dire Hakuin: «La virtù splende, l’abilità non è importante». Questa massima me l’ha ripetuta più volte, perché potessi memorizzarla, prima di leggermi la bellissima prosa di apertura:«Che la seconda parte della vita sia occupata a contraddire la prima è di comune esperienza, per quanto spiacevole. Si salva poco di quello che avevamo pensato, forse niente. Cosa rimane allora del tempo passato? Si dice di un maestro zen che, prossimo a morire, aveva invitato i discepoli nel suo giardino e rivolto a loro, sentendo gli uccelli cinguettare sui rami, aveva detto: «È tutto questo e nient’altro» (p. 9).
Abbiamo poi scherzato intorno alla prosa che parla di una coppia di anziani che abitavano all’ultimo piano di via Mainoni, a Erba. I due gli erano affezionati e invitatolo a pranzo gli avevano riservato una sorpresa … «Non erano nativi di Erba vero?» -Ho chiesto io – «No, erano di origine veneta» ha risposto Neri ridendo.
«La coppia, marito e moglie anziani, abitava al secondo piano, l’ ultimo della casa di via Mainoni. Lui faceva il sarto e la grande cucina, tutta la sua casa, era il suo atelier. Per qualche motivo ero il loro beniamino, anche se non ricordo che mi abbiano mai dato una caramella, ma non ne avevano. Giocavo col loro gatto o a dama, soprattutto mi piaceva la loro compagnia. Con grande anticipo mi avevano detto che sarei stato a pranzo da loro per qualcosa di speciale, che non si sapeva, anche i miei erano contenti. Lui faceva uso del pepe, che metteva dappertutto e io lo provavo forse solo per la prima volta. Sembrava una festa, il sarto e la moglie ridevano e avevano gli occhi lucidi. Non so come, ma quel giorno il gatto non si era visto, e non l’avrei più visto, neanche dopo» (p.13).
Ritornano le antiche domande sull’origine dell’uomo e della natura, sulla trasformazione della specie umana, interessata a cercare il punto di contatto fra il mondo degli animali e quello degli uomini: «Della qualità dei cani, della loro fedeltà, del loro felice istinto che li porta ad amare chi li nutre, può testimoniare chiunque ne abbia avuto la compagnia. Una compagnia impegnativa, anche questo bisogna sapere. Generalmente ne parlano con entusiasmo e i loro discorsi si concludono con la frase «gli manca la parola», all’incirca come Michelangelo davanti al suo Mosè. Ma è proprio questo il punto, gli animali non parlano, per quanti tentativi siano stati fatti per farli parlare. Si cerca di interpretare, di dare un codice ai loro mugolii. Non si cava un ragno da un buco e però si continua nella speranza di trovare l’anello mancante e arrivare alla sintesi della teorie evolutive, dal pesce al filosofo» (p.57).
Ricchissimo e affascinante il suo bestiario in cui fanno la loro comparsa: la biscia nera che sfugge al suo destino di morte, i felini, animali regali umiliati nei parchi, l’aquila, con il suo sguardo feroce e protervo, lo scarabeo, la cavalletta di proporzioni gigantesche, il maiale, il l cavallo, lo sfeco, pericoloso insetto simile a una vespa.
Folgorante il racconto del pomeriggio allo zoo:«Quel pomeriggio ero a Como, piovigginava e avevo pensato di andare allo zoo. Mi ero appena inoltrato nel giardino senza uno scopo preciso quando, dietro un monticello, ho visto la grande gabbia del leopardo. Era sdraiato su un ripiano di legno, ma poco dopo è sceso senza fretta e si è diretto verso di me. Quasi a tu per tu ho fatto passare la punta dell’ombrello fra le sbarre. Lui l’ha presa. Ho tentato di riprenderla, ma la sua era una morsa d’acciaio. Ho dovuto arrendermi e l’ombrello è rimasto al leopardo. Vicino a me una donna ha detto a mezza voce: «Cretino». Mi sono allontanato senza voltarmi, fino all’uscita»(p.56). Ma è l’oca a farsi quasi un emblema della sua ricerca poetica ed esistenziale: «A giudicare dall’andatura sgraziata, e malferma, non si darebbe molto credito all’oca, e forse è per questo che ha il nome che porta. Ma in acqua, per via delle sue zampe palmate, fila con eleganza e in aria, vola. Anche l’oca domestica, dai cortili, dalle aie, quando è il suo momento, prende il volo. Lei sa dove va. E noi?» Il testo, che ora è confluito in Via provinciale (p.62), è apparso in precedenza in una plaquette d’arte edita da Ilpulcinoelefante di Alberto Casiraghy, accompagnata da una fotografia in bianco e nero del poeta, realizzata da Daniele Ferroni. Me ne dona una copia, con dedica. Nel leggere l’interrogativo finale, gli si incrina la voce. Ci salutiamo con un abbraccio e una calorosa stretta di mano. Quale miglior congedo? «La poesia, come il soffio del vento, va dove vuole e la si può trovare dove capita, anche in una stretta di mano»(p.63).
Elisabetta Motta