Letteratura e critica - Libri d'arte
Il lavoro dell'artista è il continuo scavo nel mistero Francis Bacon

Recensione: Un solo paradiso di Giorgio Fontana

Condividi:
Share
Leggi articolo originale
Leggi articolo originale

Analisi del romanzo di Giorgio Fontana Un solo paradiso (Sellerio 2016) a cura di Elisabetta Motta pubblicato sulla rivista ClanDestino.


carica file PDF di questo contenutoAnalisi di Un solo paradiso Giorgio Fontana (PDF)


Giorgio Fontana Locandina Presentazione - La Casa della Poesia di Monza
Giorgio Fontana Locandina Presentazione – La Casa della Poesia di Monza (clicca per PDF)
Leggi anche su La Casa della Poesia di Monza Mirabello Cultura: Giorgio Fontana Un solo paradiso

Giorgio Fontana, vincitore del premio Campiello nel 2014 con Morte di un uomo felice, abbandonato l’impegno civile e sociale che aveva caratterizzato sia questo che il precedente romanzo, Per legge superiore (che insieme ad esso costituiva un dittico imperniato sul tema della giustizia), ci sorprende con il nuovo romanzo Un solo paradiso, con il quale cambia totalmente rotta. L’argomento proposto non ha in sé nulla di particolarmente originale: è la storia di un amore assoluto che si conclude in una perdita e in una disperazione devastante. Due amici di vecchia data si ritrovano casualmente in un bar milanese, che un tempo era stato l’abituale ritrovo della loro compagnia e Alessio, il protagonista, racconta all’amico fotografo, che lo ascolta all’inizio controvoglia e che poi invece se ne fa testimone e voce narrante, la sua storia d’amore con Martina. Una storia finita male, che lo ha completamente sconvolto e reso inerme. Trasferitosi a vivere a Milano, dalle montagne lombarde dove era nato, vi conduce una vita piatta, senza grandi ambizioni né grandi passioni, svolgendo un lavoro ordinario e divertendosi a suonare la tromba in una piccola jazz band. Il suo stile di vita che è «un dolceamaro accontentarsi» e consiste nell’aspettarsi il meno possibile dalla vita, lo ha preservato fino ad ora da grandi gioie e da forti delusioni, finché incontra Martina e allora tutto cambia. I due vivono una storia che non sembra essere ai nostri occhi una storia poi così speciale, ma che Alessio vive come una passione assoluta («lei era l’altrove, una cosa completamente diversa dalle esistenze meschine che portiamo avanti».) Nel libro vengono dedicate numerose pagine a descrizioni minuziose del loro primo incontro, alle giornate trascorse insieme, ai loro viaggi in macchina senza una meta precisa, alle notti d’amore, al sesso, al comune interesse per la musica jazz , all’amore che in un rapido crescendo di intensità arriva al culmine della passione.

Ecco alcuni passaggi chiave del romanzo in cui il protagonista scopre di essersi innamorato, forse per la prima volta, e si scopre così vulnerabile:

Così dunque si accorse che era innamorato, pensò la parola proibita e la pronunciò a voce alta mentre il suo sangue scorreva sotto l’acqua fredda del rubinetto. Per la prima volta voleva assolutamente vivere, e per la prima volta scoprì di essere oscenamente mortale.

In una di quelle notti Alessio comprese che il «dolceamaro contentarsi»  era un modo di corteggiare il nulla. Sfiorando appena la superficie delle cose, eri al riparo da qualunque forma di distruzione. L’amore invece lo portava a esistere con una violenza inimmaginabile, e di più: a dover rendere conto dell’esistenza di un altro essere umano.

Ma ben presto Alessio fa i conti con la fragilità di quell’amore, i silenzi improvvisi, le frasi sussurrate a metà, i comportamenti strani di Martina, che sparisce per alcuni giorni e progressivamente si allontana da lui finché la crisi esplode e Martina arriverà a confessare di essere ancora innamorata del suo ex ragazzo.

Il primo sentore della crisi della loro relazione avviene durante il viaggio in Lunigiana. Durante la celebrazione di una messa all’aperto assistono casualmente alla lettura di un brano della Genesi: il momento in cui Dio intima ad Abramo di andarsene dal paese, dalla casa, dagli affetti per cercare l’altrove della terra promessa, lontana da una vita facile e tranquilla. Alessio arriva a credere che Martina sia la sua terra promessa, per questo forse la perdita risulterà per lui così inaccettabile:

Alessio era passato attraverso la solitudine dell’adolescenza in quel posto dimenticato da dio, l’aggressività del padre, il fratello in prigione; era passato attraverso le infamie di vecchi amici, i lavori umilianti, la morte di una cugina cui era tanto legato; tutto il cumulo di problemi che non rivelava a nessuno per decenza o vergogna: e dunque perché ora non era in grado di riaversi?

Perché comprese questo – il vero punto della storia, come mi disse finalmente al Ritornello: si sopravvive a tanti inferni, e non a un solo paradiso.

Qui ben si evidenzia la diversità fra i due nell’ intendere la loro relazione. Martina, che già era passata attraverso la fase dell’amore e dell’abbandono, pur affermando di essere felice quando sta con lui, dichiara con convinzione «non dovremmo però mai appoggiarsi su qualcun altro per ottenere la salvezza». Per quanto sembri più esperta di lui nelle faccende amorose tuttavia forse anche lei arriverà a farsi del male tornando dall’uomo che già una volta l’aveva tradita e che tuttavia crede di amare ancora.

Dall’abbandono comincia il vero nucleo del racconto che segue il protagonista nel suo progressivo sprofondare in se stesso. E come ricorda la frase di Hjalmar Söderberg posta in esergo al libro Niente sminuisce e fa cadere in basso un essere umano quanto la consapevolezza di non essere amato.

Se all’inizio Alessio cerca di reagire viaggiando e poi gettandosi in una nuova disastrosa relazione con Eleonora, in seguito precipita nella spirale del’alcool, la droga peggiore di tutte, la più infida. Il tempo non è un aiuto, anzi, più il tempo passa e più il protagonista anziché accettare la perdita di questo amore arriva a vedersi quasi come un eroe o un mistico che giunge ad una offerta sacrificale della propria vita. E ciò risulta evidente nelle seguenti parti  del romanzo:

(Eppure il delirio gli appariva come la prova che quel sentimento fosse non solo tirannico, ma anche prodigioso; una storia così banale era  divenuta destino. Dunque non si stava rovinando. Stava raggiungendo l’essenziale, che gli piacesse o meno. Come gli antichi profeti aveva guardato un dio negli occhi, e la verità l’aveva trasfigurato.)

 «E lui ripensava al modo in cui aveva consumato il periodo migliore della sua esistenza, la sua giovinezza, le sue forze e il suo talento – e forse l’intera vita che gli restava da vivere, senza rimedio, precipitando nell’indigenza e nella solitudine. Tuttavia non provava rimpianti. Percepiva, come una verità oscura ma sostanziale, che lo scambio  fra la felicità  passata e il caos presente era scevro da inganni. Sorridendo si diceva: Sono finito qui per amore, soltanto per amore.»

Giorgio Fontana - Un solo paradiso - Sellerio 2016
Giorgio Fontana – Un solo paradiso – Sellerio 2016

L’interessante risiede proprio nel tentativo operato da Fontana di voler calare la storia di un amore assoluto e travolgente, grande e primitivo, foscoliano e wertheriano, per intenderci, in una società che poco spazio concede alle passioni di questo tipo, dove i rapporti sono sempre più precari e intercambiabili. Quale spazio può essere consentito ad un amore di questo tipo e soprattutto qual è il linguaggio per parlarne senza scadere nel ridicolo? Sono questi gli interrogativi che emergono dalla lettura del romanzo. Roland  Barthes, l’autore di Frammenti di un discorso amoroso (libro che Fontana ha dichiarato di aver tenuto sempre sul comodino durante la stesura del romanzo), ha affermato che l’amore-passione viene sempre più considerato nella società come una malattia da cui bisogna guarire o una follia. Come Fontana stesso denuncia per bocca del protagonista, non esiste un codice linguistico adeguato per parlare di una perdita così grande e certamente non lo può fare il registro ironico:

Percepì nel modo più distinto la sua solitudine di fronte al mondo intero: la società aveva un nome e un galateo per le malattie, per i lutti, per le disgrazie lavorative:ma cosa poteva offrire ad un uomo abbandonato, se non scherno e compassione? Una volta il Gorla  gli aveva detto che un adulto che soffre per amore è la cosa più ridicola. La più ridicola e noiosa. Forse parlava di se stesso ma era una verità universale.

Se Alessio avesse trovato degli amici pronti a sostenerlo e ad aiutarlo forse avrebbe reagito diversamente, invece il protagonista avverte una solitudine totale. Gli amici pensano che sia impazzito e il narratore stesso arriva a credere che sia stato colpito da una maledizione. L’amica che va a trovare a Praga e che lo ospita per qualche giorno gli dice che è un idiota a comportarsi in questo modo e che ha perso il senso delle proporzioni, infine  gli ricorda che ciò che sta alla base delle relazioni è il darwinismo sociale:

«Non sto cercando di aiutarti. Voglio solo farti capire che non sei un adolescente, né un musicista che trarrà da tutto questo un disco indimenticabile».

«Quindi se uno soffre così tanto e non è un artista, allora è un idiota?»

«Nel modo in cui stai soffrendo tu? Per quanto è accaduto?» «Si.»

«E perché?».

«Perché non è naturale. Nel senso preciso del termine.» Tossì. «La natura difende la natura e la vita difende la vita. E di certo non hai la forza di ammazzarti.»

Tossì di nuovo e si soffiò il naso.

«Devi ritrovare il senso delle proporzioni, Alessio. Se questa è la tua reazione ad un abbandono, un padre a cui muore il figlio di leucemia cosa dovrebbe fare?».

I legami famigliari sono disarticolati. Il fratello che aveva avuto seri problemi con la droga non capisce come Alessio, che si era sempre rivelato il più forte fra loro due , possa essersi ridotto in quello stato per una donna, così gli restituisce i soldi che gli aveva prestato e gli dice di non tornare più. Il padre si vergogna di lui e non  vuole che la madre lo veda in quello stato e lo scaccia.

Alessio ritorna così a Milano, perdendosi in questa città dai mille volti. Più ancora che nei romanzi precedenti l’autore opera una ricognizione poetica della città seguendo i passi di Alessio e descrivendo in modo espressionistico e dettagliato luoghi, strade, piazze, bar, quartieri. Essa subisce una metamorfosi insieme al suo personaggio e ai suoi stati d’animo. Qui appare luminosa, colorata, poiché egli è felice e innamorato:

Intanto Milano si rompeva in colori inattesi e la luce cadeva in diagonale, leggera, ribattuta dall’asfalto e dalle vetrine: luce: luce ovunque, sui tavolini di ferro sottile, sulle borse vendute dai senegalesi in corso,sulle vetrine delle banche; luce che inondava le stanze e allungava le ombre nei sabati pomeriggio lungo il Naviglio della Martesana, mentre il vento si faceva via via più freddo e loro indicavano gli orti e le case e le officine ciclistiche in buon ordine sull’altro lato del canale.

Una sera Alessio si voltò all’improvviso sul tram che li portava verso casa e vide un intero quartiere aprirsi alle loro spalle – vide i palazzi galleggiare nel crepuscolo, gli eleganti balconi liberty, le facciate rosa antico e giallo crema: un pennacchio di fumo si agitava sopra i tetti, nel blu saturo del cielo. Pensò che avrebbe potuto cogliere la città soltanto allungando una mano.

Di seguito Alessio, solo e ormai alla deriva, vede Milano in una luce triste e malinconica:

Più di Praga più di Amburgo, più di qualunque altro luogo nel cui codice genetico era inscritta la malinconia, Milano ora si ergeva sopra di lui – mentre la spiava fra le antenne e i mozziconi di sigaretta, intirizzito dal gelo, denutrito, confuso da settimane di mutismo, – ecco: Milano si ergeva sopra di lui come un regno di amanti delusi. Tutto perdeva senso di fronte a una creatura che scopre la sua verità: non c’ è gioia che sia in grado di colmare il dolore subito. Di fronte a  questa visione l’unica scelta era arrendersi. E lui si arrese.

Milano nel suo volto più duro e impietoso arriverà ad inghiottire vivo il protagonista per poi espellerlo, Alessio infatti dalla periferia si trasferirà a vivere a Bruzzano e da lì continuerà ad osservare la sua città da lontano.

La musica Jazz, che è presente in maniera quasi ossessiva nel romanzo,  come Fontana stesso ha spiegato «essendo una musica urbana che racconta le passioni forti, la rabbia, la solitudine funge da accompagnamento perfetto per le vicende narrate e per esporre in modo nudo e composto i sentimenti dei protagonisti. Consente anche da un lato di trasportare questa storia un po’ fuori tempo in un’atmosfera sonora che riporta alla Parigi degli anni Sessanta e alla New York degli anni Quaranta e dall’altro di tenere il ritmo della frase.» Ad un orecchio attento non sfugge come Fontana in alcuni passaggi del libro abbia lavorato sulla musicalità della frase, come fosse un assolo di Jazz,  di tromba, di contrabbasso.

Contrapposta alla Milano caotica e infernale c’è la montagna, dove vivono i suoi familiari, lì Alessio si rifugia e compie una ascesa per raggiungere una cima attraverso una via poco battuta ma che a lui era sempre piaciuta:  una via di guerra dura ed aspra. Ma questa salita, che allegoricamente rappresenta la ricerca della salvezza, non viene portata a termine poiché con il fisico indebolito da mesi di bevute colossali Alessio deve ripiegare. Di nuovo una resa, a cui farà seguito quella finale. Sì perché Alessio deciderà di arrendersi e scomparire, scappando dai due poli opposti di vittoria e di sconfitta. «Si può scomparire oggi?» È una delle tante domande che non trovano risposta nel romanzo, così come quella con cui Fontana decide di concludere il romanzo, sollevata dall’amico fotografo, testimone e narratore dell’intero racconto e che interpella anche noi lettori. A differenza di Alessio, dopo la fine dell’amore con Enrica, egli ci racconta che non si è lasciato andare, si è sposato con Elisabetta, ha avuto dei figli, ha cambiato più volte città e lavoro. Ha maturato l’idea che quello di Alessio era un amore del tutto fuori tempo per l’epoca in cui viviamo. Sa perfettamente che non si può amare fino a distruggersi per l’altro, eppure non può fare a meno di chiedersi se ciò che si costruisce nell’arco di una vita sia meglio di una fiammata improvvisa:

Non posso dire di aver sprecato il mio tempo sulla terra: sono un uomo fortunato, sono un uomo buono. Ma posso dire che la mia vita sia migliore di quella di Alessio?Questa domanda è assurda, lo so: eppure me la pongo, e ancor di più ora che sono giunto al termine del mio racconto.

Attraverso la figura del narratore (che non a caso è un fotografo) l’autore veicola anche delle interessanti riflessioni sulla fotografia come arte enigmatica e incapace di offrire una garanzia di veridicità Alessio infatti, rivedendo le foto sue e di Martina che li ritraggono felici arriva a credere di non aver mai forse realmente vissuti quei momenti:

Mai come in questa epoca, dove la fotografia è complicata e onnipresente, essa mostra il suo carattere disperato. La facilità di riprodurre il reale lo svilisce al punto di renderlo irriconoscibile, una volta spezzato l’incantesimo. Ogni scatto vorrebbe mettere un istante al riparo dal tempo che scorre: o almeno fornire la consolazione del dato nudo e crudo. E se invece fosse il contrario? Se ci sospingesse soltanto  più al largo? Forse le immagini non svelano nulla: proprio come nulla veniva svelato ad Alessio mentre riguardava ansiosamente le loro foto, alla ricerca di un messaggio che avrebbe dovuto metterlo all’erta. Ma i due visi felici di un tempo stridevano solo come un equivoco. Erano lì di fronte a lui, eppure era come se non fossero mai esistiti.

Se pretendere che un semplice scatto sia in grado di raccontare una intera storia è una terribile forzatura, allora non resta che affidarsi alla parola perché, come afferma il narratore nelle ultime righe del romanzo, l’unica cosa che puoi fare con una storia, è raccontarla.

Per info sul libro e sull’autore:
sellerio.it/it/catalogo/Un-Solo-Paradiso/Fontana

Condividi:
Share
Posted in Recensioni

Elisabetta Motta View posts by Elisabetta Motta

Sono scrittrice, autrice di articoli, recensioni, interviste e saggi critici sulla poesia contemporanea. Amo l’arte in ogni sua forma, in particolare mi affascina in poesia il binomio parola / segno. Ho avuto la fortuna di incontrare nel corso degli anni alcuni piccoli editori che realizzano libri d’arte e poter collaborare alle loro edizioni con i miei testi critici. Come operatrice culturale organizzo eventi per La Casa della Poesia di Monza (di cui sono Vicepresidente dal 2015) nello splendido scenario della Villa Reale e del parco. Insegno lettere da molti anni in un liceo artistico a dei ragazzi meravigliosi ai quali cerco di trasmettere la mia passione per la poesia e per la bellezza e la convinzione che il lavoro dell’artista è il continuo scavo nel mistero. E di certo continuerò, finché avrò voce e fiato per farlo.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Scroll to top