Recensione: Casa di vetro di Corrado Bagnoli, La Vita Felice, Milano, 2012
La recente scomparsa di Pierantonio Verga, pittore, protagonista dei versi di questo bel libro di poesie di Corrado Bagnoli, pubblichiamo la recensione di Elisabetta Motta.
Il 26 agosto 2015 si è spento dopo una lunga malattia Pierantonio Verga, artista fra i più rappresentativi nel panorama dell’arte contemporanea. Vorrei ricordarlo proponendo una rilettura di Casa di vetro di Corrado Bagnoli, poema in versi pubblicato da La Vita Felice nel 2012, che ne ripercorre la vicenda umana e artistica.
Il libro, felice connubio fra pittura e poesia che ci rimanda alla famosa formula Ut pictura, vuole essere anche un invito a ripensare in termini sempre nuovi e proficui il rapporto fra le arti considerate sorelle. Se da un lato i versi di Bagnoli con il loro “respiro lungo” prolungano il fascino dei quadri e accompagnano il lettore nell’ avventura dell’immagine, in dialogo continuo con la luce, il buio, l’ombra, dall’altro i quadri di Verga sono paesaggi dell’anima carichi di mistero, spazi poetici aperti all’altrove.
Il libro è l’esito di un’amicizia durata per circa trent’anni, che si è rivelata determinante per una reciproca presa di coscienza e “messa a fuoco” del rispettivi percorsi artistici. Molti degli episodi sono stati condivisi, altri raccontati da Verga a Bagnoli, che tutte le settimana andava a fargli visita nel suo studio di Desio e che ha saputo tradurli in versi in una forma poematica che lo caratterizza e che è inusuale nel panorama poetico italiano contemporaneo.
L’opera è suddivisa in “Tre quadri”, che ripercorrono l’infanzia, l’adolescenza e la maturità artistica di Verga. Toccanti i ricordi dell’ infanzia: quelli legati alla prima bicicletta gialla regalatagli dal padre, l’attività calcistica in qualità di portiere, il suo duro apprendistato lavorativo, che egli dovette intraprendere anche in seguito alla malattia del padre, infine l’apprendistato artistico e la maturità. Determinante l’attività svolta nello studio dell’architetto Mario Bacciocchi, parente della madre, dove ha avuto modo non solo di imparare un mestiere ma anche di conoscere molti artisti che frequentavano lo studio di architettura. Fra i tanti conosciuti anche in seguito, di cui menziono almeno lo scultore Giuseppe Scalvini e il pittore Alessandro Savelli, fondamentale è stato l’incontro con Lucio Fontana. In un passaggio–chiave del libro, evidenziato anche da Davide Rondoni nella prefazione, Fontana tiene una lezione-non-lezione di pittura a Verga e ai suoi allievi, esortandoli a guardare il mondo e a non pensare al quadro:
di imparare a dipingere? Preoccupatevi
del mondo, di guardarlo dritto negli occhi.
Il pittore è uno che fa il quadro, prende
i colori, i pennelli e fa il quadro. L’artista
invece li adopera, li fa diventare una lingua.»
Troppo spesso questa verità viene dimenticata dagli stessi artisti e dai critici che, perdendosi in disquisizioni tecniche, dimenticano che l’arte prima che una tecnica è uno sguardo sul mondo e che solo in un secondo momento si materializza attraverso la scrittura su un foglio o attraverso i colori su una tela. Per questo oggi la lezione di Verga è più che mai attuale e rivisitare la sua opera significa tornare all’autenticità del suo sguardo, finestra aperta sul mondo. Significa anche ritornare a meditare sull’ origine di ogni vera ispirazione artistica, che non può non derivare da una domanda, nata da una “mancanza” che sta all’origine, resa visibile artisticamente dal taglio nella tela di Fontana. Il taglio della tela, come ha spiegato Verga, non è realizzato da Fontana per andare oltre la pittura: il mistero non è oltre al tela, è la tela stessa, è il mondo, in attesa di una risposta.
La forza di Verga pittore e di Bagnoli poeta sta nell’essere riusciti a trasformare la ferita in un luogo di intimità e fraternità, di accoglienza e offerta: in una casa.
La casa è uno dei temi-chiave dell’opera di Verga. Come ha scritto Stefano Crespi essa costituisce «il punto estremo del suo viaggio pittorico, archetipo, sillaba originaria del cammino della solitudine, della lingua del silenzio e luogo di conservazione della memoria.» (Dallo Sguardo al cielo, brochure della mostra realizzata a Villa Tittoni Traversi, Desio, 02-24 marzo 2013). La casa di Verga è divenuta una sorta di correlativo oggettivo dell’idea di poesia di Bagnoli, intesa come sguardo e voce che si incarnano. In un’intervista a mia cura, realizzata nell’ agosto 2015 e ancora inedita, Bagnoli ha dichiarato: «Le case di Pierantonio fragili, povere, silenti, in attesa, umili, notturne erano diventate già una chiave di lettura della mia poesia e della poesia in generale: nelle sue opere vedevo ciò che avevo immaginato, niente è più poetico di questo. La poesia è propriamente questo indicare, questo far vedere, questo dare carne e spazio a una realtà e al soffio misterioso che le canta dentro e che anch’io andavo inseguendo.»
Ma perché la casa non resti disabitata non basta uno sguardo pietoso, occorre un gesto di condivisione, un gesto di carità, altro tema fondante in Casa di vetro, proposto attraverso l’incontro con la figura di Don Orione e tanti gesti caritatevoli disseminati tra le pagine:
La carità, che è il nome giusto di ogni amore,
un lavoro d’ogni giorno, fatica consapevole,
premura di una madre che guarda crescere
i figli e nei figli la distanza con la certezza
di un posto buono anche per loro, una casa
che non sei tu, che è più grande , come una
strada che va via da te, pur essendo dentro,
pur essendo la tua, anche la tua.»
Solo attraverso la comunione la casa può diventare casa di tutti, luogo in cui sostare, in cui ritrovare nutrimento per poi ricominciare con nuovo slancio. Per una nuova nascita. Per un nuovo inizio. Non a caso «ricominciare» è la parola con cui Bagnoli conclude Casa di vetro:
volto, braccia nel mondo, tutto
portato lì perché sia portato ancora,
custodito e ritornato. La casa, adesso,
è il poeta; il poeta, adesso, è questa
casa di vetro, ferita aperta, voce.
Pietà necessaria, profezia inutile.
Ricominciare».