CDP CULTURA E CRONACA DALL’AGROCALENO
Recensione di Elisabetta Motta

Terra di lavoro di Fabio Pusterla è un componimento poetico che è stato letto pubblicamente da Fabio Pusterla a Napoli, dopo la lectio magistralis che ha pronunciato durante la cerimonia in cui è stato insignito del prestigioso Premio Napoli.
In tale occasione Pusterla ha dichiarato: «Sono versi, questi, nati circa un anno fa proprio in Campania, nel Casertano, o meglio in quella che un tempo era chiamata Terra di lavoro, o anche Campania felix: due toponimi che oggi potrebbero sembrarci crudeli e sarcastici, temo. In quei luoghi mi guidavano due amici, Giovanni Nacca e Giuseppe Rotoli, entrambi poeti, e assai più di me capaci di resistere all’urto dell’emergenza. E il testo che ora leggerò, a loro dedicato, è nato prima di tutto dalla condivisione e dall’amicizia; e dall’ascolto di chi, con ben altro passo, per quelle terre era passato nel corso del Novecento: come Francesco Flora, Eugenio Montale, Pierpaolo Pasolini».
È un componimento che parla del dramma tristemente noto della “Terra dei fuochi”, gli immensi appezzamenti di terreni agricoli da anni ormai ridotti a discariche abusive per mano della camorra e della malavita organizzata nelle province di Napoli e Caserta. Come ha denunciato per primo don Maurizio Patricello, parroco di San Paolo Apostolo al Parco Caivano (Napoli), da molti anni tutti sapevano cosa stava succedendo nelle terre saccheggiate e violentate ma nessuno ha mai fatto denunce. Anche alivello istituzionale e politico in troppi hanno fatto finta di niente mentre le malattie tumorali provocate dai rifiuti tossici bruciati abusivamente hanno mietuto numerose vittime, in particolare fra la popolazione innocente ed indifesa, vecchi e bambini. Scrive Pusterla:«In Terra di Lavoro / fra il Volturno e Gaeta / l’elenco dei tumori / è stato silenziato. / Ortaggi a foglia larga / olive e pomidori / quando la terra spurga / imbevuti di scoli.» Un dramma che una delegazione di mamme e famiglie che hanno perso i loro figli a causa della malattia ha voluto raccontare al Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, recandosi, il gennaio scorso, al Quirinale. A queste «Madri dolorose», che esprimono uno strazio che non si dà pace e che è sostenuto da una teatralità muta, profondamente drammatica, Pusterla dedica i versi più toccanti: «Sotto la terra covano / le scorie velenose. / Sopra la terra vegliano / le Madri dolorose. / Tutto un intero giorno / ferme nel cimitero, nel nome di una figlia / per secoli di nero. / Madri stelle dell’alba / gridano silenziose / sulle piazze d’Italia / destini tormentosi.»

Quello che Pusterla ci riconsegna è un Sud martoriato dal dramma della disoccupazione («Il lavoro che manca, / il lavoro rubato»), dell’emigrazione («Quelli che sono andati / lontano a faticare»), dallo sfruttamento della criminalità organizzata («e gli altri qui rimasti / rapaci a banchettare»), dalla speculazione edilizia («Colano dal vulcano / villini e quartieri abusivi»), ma anche dall’ urto della violenza della storia e della guerra («Seimila fotografie, / museo di eroismo muto. / Gli occhi di chi per vie / traverse è sprofondato»). Ma è anche un Sud che “resiste” quello che Pusterla ci presenta attraverso la testimonianza storica dell’antifascismo di Francesco Flora che passava a Pignataro («Non aveva firmato. / Non firmerebbe ancora») e le parole di Beppe Rotoli che, pur davanti al crollo dell’ideologia comunista, continua a credere alla forza del “noi” e al valore della condivisione: «Non solo pane, dolore profondo, / Beppe dirà a un compagno: / spezzare anche questo nel modo.»
È un Sud che continua a credere nella forza della parola («parola, ultima gioia») e che attraverso di essa cerca di costruire argini, terrapieni, affinché la terra continui ad essere un luogo per l’uomo. Esercizio di “resistenza” che si esplica nel gesto della maestra Rossana che «imbastisce / un po’ di domani per tutti, / ma quando si abbatte un rovescio / non sa se terranno i diritti.» Contro l’omertà e ogni forma di razzismo «A sud d’ogni pietà / silenzi camorristi, / a nord d’ogni ragione / proclami di leghisti» il poeta contrappone la forza della parola poetica che come la ginestra leopardiana è in grado di crescere sui terreni più impervi. A questa si deve aggiungere il valore del recupero della memoria collettiva, strumento per illuminare il presente e il futuro e per condurre a verità. «Nel campo di Giovanni / sale alla luce un sasso, / un fossile preistorico, / smorfia, frammento smosso; / forse coda di scheletro, freccia o punta d’antenna, / traccia segno viatico: / memoria che non inganna. [..] Nel campo di Giovanni / un sasso sale a luce, / qualcosa che conduce, scampolo di verità.» Quello di Pusterla è un testo giocato sul binomio luce-buio, verità-menzogna, vita-morte, bianco-nero. Anche se sembra prevalere il nero, dal fondo del «magma» di montaliana memoria, frutto di antiche e recenti lave, emerge una luce che si fa portatrice di speranza: «la speranza che resta» e «chiama a non disperare».
NOTA
Terra di lavoro, prima di essere incluso nella raccolta “Argéman”, Marcos y Marco, Milano 2014 è stato pubblicato dalla casa editrice “Il Robot adorabile”, nel 2013, a Milano, in 33 copie firmate e numerate, accompagnato da una incisione di Adalberto Borioli. La recensione di Elisabetta Motta è stata precedentemente pubblicata dalla rivista “Graffti”, ANNO XXV N.108 – Aprile /Giugno 2014 pp.30-32
Si ringrazia la scrittrice Elisabetta Motta che, in accordo anche col direttore di “Graffiti”, ha autorizzato le pubblicazione sul nostro giornale della sua recensione di “Terra di lavoro” di Fabio Pusterla