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Il lavoro dell'artista è il continuo scavo nel mistero Francis Bacon

Premio Isabella Morra 2016 | Poesie premiate e motivazioni della giuria

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PREMIO ISABELLA MORRA 2016
VI edizione dedicata ad Assunta Finiguerra

Premiati, testi e motivazioni della Giuria

Sezione a)

SPECIALE RICONOSCIMENTO DELLA CRITICA

Annamaria Ferramosca

(Roma)

MOTIVAZIONI DELLA GIURIA:

Il testo dichiara la dedica fin dal titolo, esplicitando ulteriormente nel sottotitolo, il sentimento che muove il componimento, in cui si coglie l’ammirazione e una sorta di sororanza tra le due donne. Le strofe incedono precise narrando la vita di Finiguerra, il suo amore per la scrittura, la tenacia con cui ha affrontato incomprensioni, rifiuti e umiliazioni, il coraggio con cui ha risposto a ogni delusione. La quartina di chiusa mette in analogia di destino le due poetesse lucane le quali, grazie alle loro poesie, riscattano le sofferenze patite e attraversano la Storia.
La scelta originale di parole “nuovo conio”, una delle cifre di Anna Maria Ferramosca, l’utilizzo di spazi ricercati all’interno dei versi insieme con un sapiente uso di allitterazioni, fanno del testo una interessante e gradevolissima partitura poetica.

Piccolamara Assunta
(In lode di Assunta Finiguerra)

piccolamara Assunta già spinta contro i muri
– è ancora così presto per conoscere
il carcere del cuore e il suo riparo –
lei già ama la felicità delle parole
la luce delle pagine così care e sottratte

indocili mente e corpo a mordere la gabbia
ma nessuno ad accorgersi che si tratta di musica
feroci note saranno concerto

il corpo il corpo insegue amore si consuma
di quella solitudine Solije
che le fa scoprire spine bugiarde sotto la carne
le fa inseguire ostinata l’incendio e pure
ascoltare sussulti d’ali sulla terra intristita

Assunta guarda la luna mentre s’addormenta
(al suo riso beffardo risponde per le rime)
e si risveglia donna di ferite sempre riaperte
così d’amore si fa strega accende
fuochicanto ribelli contro il destino

nella sua lingua i nomi ardono
in magnifica furia e non s’estinguono
perché Scurije si è fatto chiaro
perché un’altra lei morta cento volte
cento volte rinasce in canto
perché è placata la tormenta la voce è dispiegata

– come Isabella – lei sa della vittoria
della veste-destino che da tempo
con spilli e forbici ha preparato poesia
ora la investe la vendica la intesse di dolore e di luce
— Annamaria Ferramosca

TERZO CLASSIFICATO

Giuliana Giacoletto

(Favria – Torino)

MOTIVAZIONI DELLA GIURIA:

Femminicidio: un tema amaramente attuale. Cinque terzine come sciabolate e una quartina di chiusa che mena il fendente finale. Giacoletto “attacca” in questo testo, compone un coro di amara consapevolezza e dà voce alle donne che non hanno trovato il coraggio di rompere il silenzio, sopportando maltrattamenti e violenze fino alla morte: donne accese dall’illusione d’amore e poi spente dalla realtà un amore malato.

Pochi semi

Pochi semi turchesi
in turbine
dalla siepe appena tagliata.

Stringo il mio nome
nel vuoto della terra
che risuona tra i denti.

La scatola passa di mano in mano
senza carezze
sul ventre che taglia.

Così mi strappi i capelli
non so volere
dove voglio fuggire.

Con gli occhi aggrappati al sole
cerco, nella sabbia smossa dal mare,
il sangue dei tuoi schiaffi.

Abbraccio la lama che
diventerà figlio;
ecco la forma di me
disegnata nell’acqua.
— Giuliana Giacoletto

SECONDO CLASSIFICATO

Eleonora Norcini

(Monza)

MOTIVAZIONI DELLA GIURIA:

Due chiavi di lettura per questo componimento di Eleonora Norcini, appena ventenne, che può apparire intimistico esistenziale per la grande inquietudine che registra, riferita alla dicotomia dell’essere umano quando vive situazioni di dubbio e incertezze, ma diventa anche testo di denuncia che trae origine dall’esterno, interrogandosi su fatti di sangue o comunque su morti violente: quesiti che non trovano risposte se non nel verso “breve sogno è la vita grave sogno”.

Caos

Un tessuto di aghi la domanda
Che ci inscrive.
Perché. Perché. Perché.
Assale e muta lingua il reale
E cambia occhi e gioca a carte
E dimentica la carne.
Troppa carne. Sangue
E memoria di ricordi e solitudine.
Si dorme in due si muore soli.
Spezzo il pane. – Non canti? –
Si cade nella carne muta
Si muore nella carne viva
Di porpora. Le lacrime in gola
Perché urli ma non preghi,
perché parli ai merli e ai gesti
non poni la parola? Il verbo
che diventa carne e nervi
perché sventri nella pozza scura
perché preghi nell’inchiostro
perché uccidi nell’assenza.
Breve sogno è la vita grave sogno
Due roghi un solo collo.
Vivo e muoio nella gola
Con due voci e una bocca
Sola.
— Eleonora Norcini

PRIMO CLASSIFICATO

Antonio Devicienti

(Orino – Varese)

MOTIVAZIONI DELLA GIURIA:

Il testo, ben compiuto nella forma che evidenzia la maturità stilistica dell’autore, pur mai nominandola, è un omaggio ad Assunta Finiguerra.
La poesia La sarta ci rende riconoscibile il suo mestiere quando viveva a San Fele, prima di scegliere coraggiosamente, ma non senza sensi di colpa, di abbandonare quella realtà.
Nei versi iniziali, l’ago viene eletto a protagonista e, nel suo muoversi veloce e monotono, ci consegna – per metonimia – il sentimento di rabbia, spesso presente nei testi di Finiguerra, che si sviluppa in ribellione verso un paese e convenzioni troppo strette per un’anima esuberante, creativa e passionale. Delicato e vivo il riferimento derivante dai versi “una biro dall’orlo mangiucchiato” e “foglio di quaderno sgualciucchiato” che rimanda alla necessità dirompente di Assunta di scrivere poesie quando, non potendosi applicare pienamente alla scrittura e non avendo a disposizione strumenti idonei, tra un’imbastitura e un orlo, utilizzava le matite gesso che servono per segnare i tessuti prima del taglio e qualsiasi pezzo di carta recuperato nella stanza.
L’autore ha sicuramente percorso con grande attenzione l’attività poetica di Finiguerra: lo si evince anche dalla scelta dei lemmi che ci rimandano echi delle sue composizioni. Ma, soprattutto, l’ha amata.

La sarta

Questo mestiere l’alimento e lo pago
col fuoco. Veloce, veloce, ve
loce
l’ago a infilare e sfilare l’ago
una camicia d’avvelenante amore
dentro e fuori dentro e
fuori
mentre scende la luna di porpora
nella gola del paese
e superbo mio servaggio alla ribellione:
una biro dall’orlo smangiucchiato
reclusoria mestierante la stanza di sarta
dove bevo vino con il sale
foglio di quaderno sgualciucchiato
questo vaneggiare d’amore lo dico e lo pago
con mestiere che si porta via gli occhi
non dalle viscere l’arte mia
ma
dal cervello del disamore:
una camicia per il padre
una per l’amante
bevo l’inchiostro del caffé
tendo il refe a conquistarmi il sole.
— Antonio Devicienti

SEZIONE B) Carcere di San Quirico di Monza

Vincitori

Nikola Stevic

MOTIVAZIONI DELLA GIURIA:

Pochi versi in questa poesia, tre soltanto per descrivere un dolore e un amore imperituro. Una concentrazione di sofferenza resa manifesta da quella “lacrima” e dalla vacuità del gesto – versata nell’oceano – che indica una rassegnazione relativa alla costrizione vissuta dall’autore il quale, nel pensiero di un amore sconfinato, trova la leva per proseguire i giorni.

Cri cri

Ho versato una lacrima nell’oceano
E solo quando la ritroveranno
Smetterò d’amarti
— Nikola Stevic

Patrice Sangiorgio

MOTIVAZIONI DELLA GIURIA:

Il testo ci consegna un ritratto di un giovane ragazzo che l’autore osserva, altro da sé ma – forse – a effetto specchio in cui si riconosce. Pochi versi ricostruiscono una vita condotta ai margini della società, ma l’osservazione è eseguita con misericordia e perdono, invocando una rinascita nella freschezza e nell’ingenuità di gesti infantili.

Quando ti guardo

Quando ti guardo
non posso non pensare
alla tua faccia da bambino
bruciata dal sole
A un bambino che ride
al rumore del mare.

Quando ti guardo
non riesco a pensare ai tuoi sbagli
a te ubriaco che guidi la macchina
ai soldi arrotolati in tasca
non riesco a immaginarti
sballato con gli occhi cattivi
che litighi in mezzo a strade sporche
al buio che aspetti clienti.

Quando ti guardo
guardo un bambino
con i piedi un po’ piccoli
che alza il dito
disegna un sole e ride.
E io posso chiudere
gli occhi
tranquillo
— Patrice Sangiorgio

Alessandro Argenti

MOTIVAZIONI DELLA GIURIA:

Notte, buio, silenzio, solitudine: elementi sperimentati da molti, anche a coloro che non necessariamente si trovano in situazioni analoghe a quelle dell’autore, e che creano disagio, paure dalle quali si può provare a difenderci attraverso l’immaginazione di qualcosa a cui si riserva il concetto di bellezza.

Nel buio della notte
vedo il corridoio illuminato
cerco una porzione di luce
prima di affondarmi nella notte
gli occhi piccoli, stanchi strizzati
rimpiccioliscono le pupille e la luce
si accende il bianchiccio pallidume della pelle.

Silenzio irreale
assurdo
tante persone e nessuna voce?
Solamente un apparecchio visivo
intrattiene una figura venerata
osservata
adocchiata
come se fosse una donna
in abiti succinti
nel mentre di levarseli.
Nel buio della notte.
— Alessandro Argenti

Autore A)

MOTIVAZIONI DELLA GIURIA:

Il mito del viaggio offre uno dei nuclei più profondi attorno ai quali la cultura occidentale ha narrato il senso della vita. In questo testo l’autore “approda” e con stupore incontra quanto sino a quel momento era sconosciuto: l’amore.

Mitos

Anche se vivevo nel buio
Il clima della mia terra natia
mi ha sempre dato calore e luce.
Gettata l’ancora in questo porto freddo
Non sapevo cosa e chi avrei trovato.
Con gioia e stupore
Ho incontrato un angelo
Che si è fatto spazio nelle vie
Del mio cuore

Con grande umiltà,
vederla, è stato come aprire una finestra
dopo una tempesta
e scorgere un arcobaleno
con tutti i suoi colori accesi
arcobaleno che in futuro
indelebile
mi accompagni sempre.
— Autore A)

Autore B)

MOTIVAZIONI DELLA GIURIA:

Quando tutto sembra perduto e l’essere sconfitto, esiste un perno su cui far leva per resistere. Ognuno deve riuscire a identificare quale sia il più adeguato per proseguire. L’autore prende a prestito il motto socratico “Conosci te stesso” e indica l’immersione nella “botola nascosta dell’anima”.

Fermo

Sul freddo cemento
Chiuso tra le pareti
della mia mente
una luce lontana…
Allungo le mani
ma non trovo fune
così resistente.
Ora posso sorreggere
il peso delle mie paure
Spingo forte
su questo muro spesso
Si muove o è solo una sensazione…
La speranza di farcela
La forza non manca
Il coraggio è presente

Seduto sul freddo cemento
smuovo le pareti della mia mente
E ritrovo la botola nascosta dell’anima
— Autore B)

Menzione speciale sezione B)

laboratorio di poesia “inVERSIone” nella Casa
Circondariale di Lecco (Pescarenico)

MOTIVAZIONI DELLA GIURIA:

Poesie di resilienza in cui speranza e colore si fondono per attualizzare ricordi e proiettare aneliti. Scalda il testo bonsai sull’amore di Musaku Fatjon; Giacomo Pelliccia ricorre a una tavolozza dove scolora la rabbia per creare le tinte del rinnovamento; Claudio Corabi prende coscienza del valore della libertà solo dopo la privazione di questa e la descrive alata come un gabbiano e lieve come una foglia; Salvatore La Manna insieme con Musaku Fatjion, in un componimento a due voci, giocano con la ripetizione per rafforzare musicalità e concetti fondamentali di una esistenza libera.

Musaku Fatjon

L’amore

Scaldi come sole,
bruci come fuoco
Ti guardo nel viso.
I tuoi occhi
guardano le stelle
— Musaku Fatjon

Giacomo Pelliccia

La vita a colori

La rabbia che mi abitava
si è trasformata,
dando vita al nuovo me:
il nero che indossavo si è unito al bianco,
facendomi conoscere sfumature che ignoravo
e adesso vivo.
— Giacomo Pelliccia

Claudio Corabi

La libertà

Come gabbiano trasportato da un vento tiepido
la libertà è un’emozione che assapori,
dopo aver attraversato queste porte.
Libertà è vedere oltre.
Come una foglia che si stacca volteggiando
libertà è poter uscire
da me,
da una quotidianità così lontana.
— Claudio Corabi

Musaku Fatjon e Salvatore La Manna

La libertà

    Vivere in famiglia nella natura immensa è ricordo
di una bellezza famigliare. Vivere con
onestà solare è la verità di una natura
onesta, vivere è viaggiare in un sogno
con immensità solare. Viaggiare è vivere,
essere, scrivere in ricordo della verità
con il sogno di essere.
— Musaku Fatjon e Salvatore La Manna

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Posted in Incontri 2016

Elisabetta Motta View posts by Elisabetta Motta

Sono scrittrice, autrice di articoli, recensioni, interviste e saggi critici sulla poesia contemporanea. Amo l’arte in ogni sua forma, in particolare mi affascina in poesia il binomio parola / segno. Ho avuto la fortuna di incontrare nel corso degli anni alcuni piccoli editori che realizzano libri d’arte e poter collaborare alle loro edizioni con i miei testi critici. Come operatrice culturale organizzo eventi per La Casa della Poesia di Monza (di cui sono Vicepresidente dal 2015) nello splendido scenario della Villa Reale e del parco. Insegno lettere da molti anni in un liceo artistico a dei ragazzi meravigliosi ai quali cerco di trasmettere la mia passione per la poesia e per la bellezza e la convinzione che il lavoro dell’artista è il continuo scavo nel mistero. E di certo continuerò, finché avrò voce e fiato per farlo.

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