Letteratura e critica - Libri d'arte
Il lavoro dell'artista è il continuo scavo nel mistero Francis Bacon

Mappe del grande mare di Massimiliano Mandorlo

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Mappe del grande mare di Massimiliano Mandorlo MC edizioni (2023)
Recensione di Elisabetta Motta


 

Mappe del grande mare è un libro edito da MC nel 2023, un’opera in cui il poeta compie un viaggio nel gran mare dell’Essere: un viaggio orizzontale (in una dimensione terrestre e marina) e verticale (in una dimensione celeste). Parlare di viaggio qui, dunque, significa dantescamente parlare di un’avventura metafisica, connessa alla ricerca personale e conoscitiva verso il significato ultimo dell’esistenza umana. Il poeta riesce infatti a farci sentire i suoi versi come immersioni concrete negli elementi primi delle cosmogonie arcaiche: l’acqua, l’aria, la luce e la terra, elementi che ci riconducono al fuoco dell’Origine, alla «prima alba del mondo».
Il libro è diviso in diverse sezioni: Cantico terrestre, Terra incognita, La gioia, Finestre che corrispondono a diverse tappe del viaggio.

Nella prima sezione Cantico terrestre il viaggiatore assume le vesti di Mandorlo stesso che si avventura nel mare aperto al suo eterno gioco acquatico, al suo cullare e custodire, alla sua musica e benedizione, ma anche al suo annientare con la sua forza distruttiva e al suo restituire.
Ma l’acqua non è solo il grembo dell’origine, è la sacra soglia per accostarci all’ultimo orizzonte di senso, per cogliere il linguaggio intraducibile dell’Essere.
Nelle acque del Mediterraneo e nella sua luce il poeta compie una sorta di naufragio e di battesimo purificatore (mi «consumo» e mi «rigenero»), risucchiato in una serie di piccoli-grandi avventure iniziatiche.
Mappe del grande mare è anche un libro in cui Mandorlo rende omaggio alla Terra dei suoi padri, la Sicilia, meta verso cui il poeta ritorna anche in un prezioso libretto d’arte intitolato Sikelia accompagnato da una mia nota critica (Il Ragazzo innocuo, 2025), avventurandosi in un viaggio memoriale, mitico e favoloso, in cui si misura con l’epifania nuda della bellezza, in uno squadernarsi del mondo fra il verde degli agavi e dei fichi d’india, fra gli ori luccicanti di Palermo e il mare di pietra nera di Catania, fra i ripidi calanchi, le lave e le alture di Mussomeli, il paese dove è nato suo padre. Il fascino di questa terra rivive anche negli oggetti della tradizione popolare, come il ditale di canna, usato durante la mietitura avuto in eredità (Canidda) o il tamburo di Melu l’orbo, acquistato da suo padre e poi regalato alla Confraternita di Maria SS.ma dei Miracoli, che suona ancora nei vicoli luminosi. L’esercizio costante dello sguardo lo porta ad osservare con grande attenzione il paesaggio, gli ambienti, le persone, le strade, per riconoscerne il volto segreto, la loro luce prima e svelarne il segreto o le similitudini nascoste.
Come ben rileva Marco Vitale nella prefazione «vi è un francescano disporsi alla lode davanti alle bellezze del Creato», un voler ringraziare per ogni dono: luce, aria, vento, sole, alberi, vegetazione… «terra di canti / in te sprofondo / e grazie rendo / / del mio esistere nel mondo. E questo omaggio giunge oggi, nell’anno delle celebrazioni francescane, assai gradito. Ma vi è un ringraziare anche per la parola, poiché: «Noi non siamo fatti per la morte: per il vento siamo fatti / e questa terra/ dona luce / custodisce / con l’incendio del suo grano, a mani aperte / canta in me / prima di me».
Come è stato già rilevato da vari critici, molte sono le ascendenze di questa raccolta: Ungaretti, Loi, Luzi, Eliot e altri padri della tradizione lirica italiana e europea, eppure non si avverte alcun artificio e la sua voce non ha mai la pesantezza dei testi ipernutriti di memorie letterarie, si avverte piuttosto un’esigenza di luce, una sete di bellezza che possa ancora farsi tramite di verità. Lo stile è essenziale, ungarettiano, con versicoli che corrispondono talvolta ad una sola parola, con assenza quasi di punteggiatura, con parole piane di uso quotidiano. La chiarezza è una nota distintiva di questa raccolta invocata come cifra stilistica dallo stesso autore.
In questo suo viaggio marino, nella sezione Finestre, assistiamo ad uno sconfinamento: vi è la rievocazione dell’antica Conca (nella sezione La città sommersa), città che era posta di fronte a Cattolica e che fu interamente ricoperta delle acque dell’Adriatico. Avvistata da alcuni pescatori di ostriche, secondo quanto ci racconta lo storico Raffaele Adimari nel suo Sito riminese (1616), rivive tra leggenda, sogno e archeologia proprio come l’antico porto di età tolemaica sottostante ad Alessandria d’ Egitto, riportato alla luce da alcuni archeologi subacquei e ricordato da Ungaretti ne Il porto sepolto. «Città sommersa / città sommersa / di chi è la voce / quale canto nasce dalle tue fondamenta» si chiede il poeta che, dopo aver compiuto questa discesa orfica, risale in superfice, riportando alla luce i suoi canti.
Nella seconda sezione Terra incognita sono compresi i Frammenti dal diario del Capitan Cook, versi in cui ricorda l’esperienza di questo noto navigare che nel XVII secolo ha esplorato l’Australia e la sezione Con lettere ardenti nel cielo in cui ripercorre l’itinerario epifanico dei Magi con affondi negli spazi celesti e in illuminanti cortocircuiti fra la terra il cielo e il mare, che giungono nella chiusa del libro a creare una corrispondenza ribaltata: «la terra è un cielo / rovesciato nel mare».
Mai il poeta nelle precedenti raccolte si era confrontato così intensamente con la luce; in questi versi ne celebra il suo mistero glorioso, assecondando il bisogno di adorare quel bimbo estasiato che «guarda la stella fissa / su di lui e sente / nascere il mondo / in quella prima luce, / nuota nei bianchi / celesti occhi di sua madre», chiedendo infine di essere bene detto e accarezzato. Come lui stesso indica nella nota finale, per la composizione di questo poemetto si è ispirato a un commento di san Giovanni Crisostomo e a una celebre raffigurazione di Gentile da Fabriano, probabilmente non senza la memoria poetica del Viaggio terrestre e celeste di Simone Martini.
Infine, nella sezione Finestre ci ritroviamo in un orizzonte urbano in cui il mare si può solo sognare come un miraggio o riscoprire dentro se stessi: luogo di passaggio dove il potere dello sguardo è esercitato attraverso le sottili righe della finestra, ma dove chi si ferma non è perduto se ancora sa custodire la sua parte di luce e lasciarla brillare in questa storia, in questo tempo.

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