All’ignaro lettore
Cosa può accadere quando Fabio Pusterla, poeta attratto dall’arte della calcografia e Luciano Ragozzino, incisore-stampatore che si diverte a giocare con le parole, incontrandosi un giorno a Lugano a una mostra di libri d’arte di un amico editore, si accordano e decidono di “scambiarsi” i ruoli? Davanti a me, unica testimone, comincia così un gioco, uno scherzo che poi si è prolungato, concretizzandosi in un libro d’arte dal titolo molto curioso: Il dicco. Esso si compone di un testo poetico scritto da Luciano Ragozzino in un linguaggio affascinante ed estremamente musicale ma del tutto incomprensibile e da un’acquaforte rappresentante il dicco, firmata da Fabio Pusterla.
L’esito del lavoro, del tutto imprevedibile, è di certo andato al di là delle aspettative e delle loro stesse intenzioni. Cosa è mai infatti il dicco, questa creatura ancestrale e mostruosa nell’aspetto, che evoca un lontano mondo, una situazione immaginaria o drammaticamente reale? E perché se è davvero solo frutto di uno scherzo non riusciamo a dimenticarlo e ci inquieta con il suo sguardo a metà tra il crudele e il divertito?
Antico, ma estremamente moderno, il dicco sembra parlare il linguaggio umido delle paludi ora scomparse ma che rivivono nel putridume odierno. Sono parole inventate, «lessicose» e semanticamente insensate quelle del testo poetico che lo accompagna, eppure non del tutto prive di un allusivo senso possibile.
Forse (ma chi può dirlo?) nel realizzare l’incisone Pusterla pensava davvero agli antichi animali preistorici rinvenuti fra sabbie e argille o ad ammoniti mesozoiche, impresse nella pietra, prodotto di una “calcografia naturale”. O forse il pensiero è corso fino alle primitive incisioni di cavalli e bisonti rinvenute nelle grotte di Lascaux o di Chauvet, in Francia, che costituiscono il più antico atelier calcografico della storia.
Ma forse non occorre viaggiare così in là nel tempo, il dicco infatti potrebbe essere più semplicemente uno di quegli animali in cui Pusterla si è imbattuto nella stamperia di Ragozzino. Come in una Wunderkammer nel laboratorio (ex gelateria) di via Gunizzelli trovano posto oggetti strani e stupefacenti: da calchi per i gelati a cartoline, busti, fotografie, ex voto, ex libris e una serie di animali: ragni, mosche, farfalle e vi è perfino un gatto mummificato rinvenuto nell’interstizio di un pavimento. Uno scheletro di legno interamente costruito con legni recuperati sulla spiaggia come un un solerte maggiordomo dà il benvenuto ai visitatori ricordando loro il memento mori.
E infatti, a guardarlo meglio da vicino, il dicco poi non è così pauroso, ha tutta l’aria di essere una di quelle grosse lucertole trovata tra le sabbie di qualche isola greca, schiacciata ancor prima che dal torchio dal peso del tempo che preme (o più semplicemente spianata dalle ruote di un’automobile) e come l’acido dell’acquaforte, corrode. Portata a casa come ricordo della vacanza estiva, con l’intenzione di utilizzarla per qualche copia dal vero o per collezionismo, ha trovato posto nell’atelier assieme a tutti gli altri animali che compongono il singolare bestiario di Ragozzino. Sottoposta al torchio con lieve pressione su una lastra, preparata con cera morbida, ha lasciato un’impronta sulla quale Pusterla ha lavorato più volte con la punta, per darle un po’ di espressione e carattere, per poi passare alla fase dell’acidatura e stampa.
Ma non sono affatto certa che le cose siano andate in questo modo … Cosa sia veramente accaduto nel laboratorio fra l’incisore e il poeta in quello spazio d’attesa che separa l’atto dell’incisione da quello della stampa, resta un mistero. Del resto come in poesia esiste una sottile linea di confine fra «il detto» e «il non detto», fra l’esplicito e il taciuto, così anche nell’arte della stampa non tutto va svelato e ogni incisione deve portar con sé il suo segreto. Al lettore resta l’ardua impresa (se vuole) di coglierlo … con un ammonimento finale: fate attenzione al dicco, non abbassate la guardia, è famelico e violento, ama sguazzare nella «pulca» e non agisce mai da solo …
Il dicco di Luciano Ragozzino e Fabio Pusterla è certamente il libro d’arte più strano che ho avuto il piacere di curare per le edizioni d’arte de Il ragazzo innocuo (Milano, 2014)
È stato divertentissimo occuparsene, fin dal suo concepimento (uno scambio di ruoli fra artista e poeta) e per l’esito del tutto inaspettato. Mi ha sorpresa e meravigliata il testo di Luciano, improvvisatosi poeta, scritto in una lingua incomprensibile che però “funziona” ritmicamente e musicalmente e non è privo di un vago significato allusivo. Dove ne avrà tratto ispirazione? E che dire dell’incisione? Chi mai avrebbe pensato che Fabio, che dichiara sempre di essere negato per il disegno, avrebbe saputo cimentarsi con l’arte incisoria? In realtà esiste un precedente di Fabio Pusterla incisore: Ne I Gabbiani del guasco (Il Ragazzo innocuo, 2007) è contenuta una acquaforte che accompagna l’omonimo componimento, ma si tratta di una incisone molto semplice e lineare che nulla ha a che vedere con la forza e con la ferocia espressiva del dicco.
Quando è possibile cerco sempre di essere presente al momento dell’incisione della lastra, alla fase dell’ inchiostratura e alla prima stampa, perlomeno per quei libri che ho occasione di curare per la collana SCRIPSIT /SCULPSIT. Mi diverte vedere la reazione del poeta non abituato ad esprimersi con questo mezzo espressivo e dunque molto titubante e infine sorpreso alla vista dell’incisione. Il risultato infatti non è mai scontato e spesso è addirittura sorprendente. Questa volta però non ho assistito al lavoro di incisione e preparazione della lastra da parte di Fabio Pusterla e dunque non sono in grado di dire nulla né su questo momento né su come è avvenuta la stampa vera e propria. Dunque molto sfugge del dicco e della sua intrigante e misteriosa storia …
Le foto che ho potuto realizzare riguardano infatti il momento della firma del libro, avvenuto a lavori conclusi nel cortile del laboratorio di via Guinizelli in Milano (Ex gelateria).
In aggiunta a quanto ho già dichiarato nell’Avvertenza al lettore contenuta all’interno del libro d’arte, posso solo suggerire a qualche serio filologo, studioso di Fabio Pusterla, appassionatosi al mistero del dicco, che forse vale la pena indagare. Nella mia abitazione, disseminato fra le mille carte o incisioni alle pareti e i numerosi libri d’arte troverà forse qualche indizio, qualche traccia che possa svelare qualcosa in più sul mistero del dicco e sulla sua incomprensibile lingua.