Per Giorgio Orelli, in occasione dei cento anni dalla nascita. Una lettura di “Ragni” e “La Buca delle lettere”.
Bellinzona, Villa dei Cedri, 21 marzo 2021 Giornata Mondiale della Poesia

Ringrazio gli organizzatori per l’invito a partecipare a questa Giornata mondiale della poesia dedicata a Giorgio Orelli, in occasione del centenario della nascita.
Giorgio Orelli è un poeta a me molto caro che ho avuto il privilegio di conoscere personalmente e di incontrare proprio a Bellinzona in diverse occasioni, nella sua casa sulla salita di Ravecchia.
Le sue conversazioni sono state per me delle vere e proprie lezioni di poesia, di letteratura e di vita. È un poeta che ha saputo gettare lo sguardo a fondo di ogni questione umana poiché era interessato ad ogni aspetto della vita: da quelli più tragici o che meritavano il suo sdegno a quelli più lieti e divertenti a quelli più intimi e familiari (pensiamo alle poesie del “cerchio familiare” dedicate alla moglie, alle figlie e ai nipoti). Aspetti che ha saputo analizzare guidato da uno sguardo critico, indagatore, ma anche da una profonda pietas, guidato da una luce intellettuale che l’ha sempre sostenuto.
I suoi versi infatti ci parlano non solo di una conoscenza epifanica avvenuta attraverso lampi e illuminazioni, ma di un conoscere lungo e meditato, che proprio misurandosi con la grande lezione degli autori classici e dei moderni e guardando anche alla pittura (in particolare del 1300 e 1400, ma anche contemporanea) ha cercato di restituire armonia e ordine al mondo e di dare un senso alla storia dell’uomo, anche nei suoi tempi bui, riscattandola attraverso la parola.
Rileggere Orelli in particolare in questo anno, il 2021, dedicato a Dante, il suo più grande maestro «il miglior fabbro del parlar materno» (che non mancava mai di citare a memoria e che studiò a lungo attribuendogli la paternità de Il Fiore), significa anche ripensare al significato profondo di che cosa è la poesia, quando sa gettare scandagli profondi «per lo gran mar dell’essere».
E questi scandagli nella produzione di Orelli sono certamente tutto quello che è legato al suono e al ritmo, alla musica dei suoi versi, ma anche all’aspetto visivo della sua poesia, che trova nell’universo cromatico l’aspetto non esauribile della varietà del mondo. Il tema proposto per questa giornata, il colore, scelto in relazione anche alla mostra che si inaugura quest’oggi a Villa dei Cedri e dedicata a Irma Blank, è certamente molto interessante ed è una delle taste piste possibili per indagare la poesia di Orelli. Si tratta di una via percorribile, anche perché Orelli ha dosato il colore in maniera differente nelle varie raccolte, utilizzando però moduli espressivi affini così che è possibile delineare una linea grammaticale comune. Rimando allo studio attento di Maria Antonietta Grignani che in Pedagogia dello sguardo e declinazione dei colori, saggio contenuto nel volume Giorgio Orelli e il “lavoro” sulla parola. (Interlinea, Novara, 2015) ha analizzato puntualmente e diacronicamente questo aspetto nelle varie raccolte di Orelli, dall’Ora del tempo fino a Il collo dell’anitra, spingendosi fino ad alcuni testi dell’ultima raccolta L’orlo della vita. Da parte mia mi limiterò a leggere due testi che sono La buca delle lettere e Ragni e a fare alcune considerazione che questi testi suscitano anche in relazione al tema del colore e del rapporto segno / parola. Si tratta di due testi pubblicati nel 2021 dalle edizioni Lithos di Como in un libro d’arte a tiratura limitato, da me curato, e poi confluiti nella edizione Tutte le poesie editata da Mondadori nel 2015 e curata da Pietro De Marchi:
La buca delle lettere
Dove mirabilmente
giallo su prima mano
di rosso anche d’autunno
resistono ardite parole:
TI AMO
DI PIÙ
più non gialleggia la buca
delle lettere a lungo appesa al muro
d’un giardino arruffato:
inghirlandata di glicine e fragili
roselline, in un folto d’ulivi,
palme, sambuchi, natura naturale,
ove adesso si leva
un altro giallo, l’arancio dei cachi
che sfiorano la casa
dell’ultracentenario (con un braccio
più d’un frutto potrebbe raggiungere,
ma non si vede mai):
lì, come fosse
nel posto più giusto, più quieto,
sembrava riposarsi in se stessa
l’antica cassetta,
nel suo caldo colore.
Sparita anche la tortora
che dalla cima d’un lampione
ne lamentava la sorte.
— da Tutte le poesie, Mondadori, 2015
In questo testo la sensibilità ritmica e fonosemantica è superata da quella cromatica: attraverso pennellate di colore Orelli dà vita ad un componimento che assume l’autonomia pittorica di un quadro. A dominare è il giallo, sovrapposto al rosso della passione, dell’amore che tenacemente “resiste”, legato poi al gialleggiare della buca delle lettere e nel finale riproposto nell’arancio dei cachi. Il «giallegiare», che dà vita a un evento in durata, serve a far permanere il colore nella memoria. Il verbo nel Grande Dizionario della lingua italiana è attestato in Leonardo, Frugoni, Pindemonte, Carducci, D’Annunzio, Soffici e Gadda e vanta dunque illustri precedenti. Qui è legato ad un oggetto, la buca delle lettere, che si trovava in un posto strano, divertente, dove c’erano due tortorelle stupende, appesa sul muro di cinta «d’un giardino arruffato», inghirlandata da un «pezzo di natura naturale» attorniata dal glicine, dalle gracili roselline, palme, sambuchi… Stava lì da decenni, «sembrava riposarsi / in se stessa l’antica cassetta, / nel suo caldo colore» quasi fasciata d’eternità. Orelli mi raccontò in una intervista che gli feci, contenuta ne La poesia e il mistero (La vita Felice, 2016) che ogni tanto vedeva una vecchina che faticava a camminare ma che faceva volentieri quel tragitto, quei venti, trenta passi per andare a imbucare una missiva. Era un piacere guardarla e capiva il suo piacere di fermarsi, chiacchierare, imbucare. Tutto questo diventava una specie di rito secolare. In seguito però questa cassetta è stata rimossa e il giardino è stato risistemato e ripulito da un giardiniere «Sparita anche la tortora / che dalla cime di un lampione / ne lamentava la sorte». Per questo motivo Orelli dice di aver scritto una poesia, per protestare contro la mania del risparmio, frutto di una mentalità cinica e della speculazione, che ha portato a sopprimere uffici postali, come quello di Ravecchia. Da qui la composizione di questo testo che è appunto un «cardo» orelliano, uno di quei componimenti che vogliono essere nell’intenzione dell’autore “pungenti”. Ma Orelli va ben oltre l’indignazione che l’ha motivato a scrivere e attraverso questo oggetto antico e utilizzando giochi di assonanze (posto e giusto), (sorte e morte) e l’anagramma (cassetta e stessa) introduce una riflessione filosofica sull’essere e il tempo. Nella redazione dattiloscritta posteriore all’edizione Lithos del 2012 sostituisce il «sembrava riposarsi / in se stessa» con «sembrava appagarsi / in se stessa» introducendo, come lui stesso mi fece notare, un riferimento ad Heidegger e al tema dell’appagamento dell’essere al mondo. Da questo testo cogliamo dunque come nella poesia di Orelli ciò che conta davvero è il dialogo che i vari elementi cromatici e fonetici stabiliscono tra di loro all’interno di un testo. I colori infatti non sono solo un dato di realtà (anche se ciò resta sempre un dato molto importante nella poesia di Orelli) ma sono anche dei tasselli semantici combinabili in vari modi e forme e insieme dei catalizzatori di percezioni e associazioni mentali.
Il giallo viene poi riproposto nel finale mescolato al rosso, nella variante autunnale dell’arancio dei cachi, che «sfiora arrossendo la casa / dell’ultracentenario». Assistiamo anche qui al contrasto fra l’arancio dei cachi che si rinnova ad ogni nuova stagione con nuovi fiori e frutti e il gesto mancato dell’ultracentenario che ci immaginiamo biancheggiante e che vorrebbe cogliere della vita più d’un frutto, ma non si vede mai. In Orelli il pallore il biancheggiare è un indizio di morte mentre il colore o meglio i colori sono un senhal della vita (come scrive Pietro De Marchi in Dove portano le parole (Manni, 2002), che testimoniano la pertinace illusione d’immortalità in contrasto con la lucida consapevolezza della precarietà del vivere.
Si tratta di un motivo presente già in Sinopie, in questo testo Orelli dopo aver ritratto alla sanguigna attraverso un loro gesto o un loro motto tre uomini anziani dice di voler parlare d’altri vecchi «che sono già tutti sinopie / (senza le belle beffe dei peschi e dei meli) / traversate da crepe secolari.» Una volta che si sbiadiscono i colori dell’esistenza non rimane che la sinopia sottostante, in contrasto con la presenza beffarda dei peschi e dei meli che invece ad ogni stagione si rinnovano di fiori e frutti.
In occasione di una conversazione riportata nel mio libro-intervista La poesia e il mistero Orelli mi spiegò che nella prima versione pubblicata sulla rivista «Viceversa Letteratura (n.5, 2011) non c’era traccia di questo gesto mancato dell’ultracentenario che ogni tanto allunga la mano per cogliere più d’un frutto, ma che poi aveva pensato di perfezionare questa immagine, anche, ma non solo, pensando al Parini e al suo verso: «Con la delusa man cercando vo …». La sua introduzione nella edizione Lithos del 2012 arricchisce la scena di un particolare visivo importante, delineando un quadro più completo. Nel dattiloscritto, però, che parrebbe testimoniare una redazione successiva ma non “definitiva” rispetto alla stampa Lithos 2012, Orelli introduce una variante ai vv. 14-15: «natura naturale su cui svetta / tremulo argenteo un giovane salice / e d’autunno l’arancio dei cachi / sfiora arrossendo la casa / dell’ultracentenario / che non si sporge più, più non allunga / la mano sulla polpa».
Compare dunque l’immagine di un giovane salice argenteo che svetta sugli altri elementi naturali e va a sostituire il termine «frutto» con «polpa» perché, come mi spiegò lui stesso «dire di più diventa fin troppo esposto all’evento, troppo esplicito». Un Orelli dunque che sceglie la direzione del “non detto” piuttosto che l’esplicitazione verso “il detto”. Ciò non ci deve stupire perché per Orelli il lavoro poetico non poteva mai veramente dirsi concluso e pertanto modificava di continuo i suoi testi, anche dopo la pubblicazione e lasciava che circolassero di una stessa poesia diverse varianti.

Ragni
Da quando? se da giorni
e giorni, mesi ormai,
mentre riposo li osservo
e scordo e non senza stupore
riscopro: ombre d’acheni,
più piccoli di mezza formichetta
smarrita nell’acquaio: sempre lì,
lontano quanto basta dalla lampada
che ha bruciato l’incauto calabrone,
diafani a furia di guardarli, quasi
trascoloranti in rosa:
chi sa mai se lo sanno
d’essere l’uno a una spanna dall’altro
come due nei su una schiena,
inquilini abusivi del soffitto,
strani compagni della mia vecchiaia:
sempre lì, sempre soli, senza preda,
una volta soltanto è arrivato dal Nord
un ragno d’altro rango,
quasi robusto, nerastro,
è passato col fare inquisitorio
d’un commissario
tra i due come se fossero
sorvegliati speciali,
senza distrarli, è sparito
in fretta nel gran bianco,
e dunque non li ha visti
sincronici calarsi,
sostare penzolando
nel vuoto dove nemmeno si sognano
di cercare un appiglio
per una tela: intenti alle filiere
troppo presto esaurite e come
saggiando il peso d’essere, il mistero,
già pronti a risalire divorando
filo e distanza:
per fingersi di nuovo
due punti nei dintorni
di me.
— da Tutte le poesie, Mondadori, 2015
Con Ragni siamo certamente di fronte ad uno dei vertici della poesia orelliana; si tratta di un testo contenuto in Verso “L’orlo della vita”, la sua ultima raccolta poetica, il cui titolo è ripreso da un sintagma della Commedia: «[…] Se quello spirito ch’attende, / pria che si penta, l’orlo de la vita» (Purg. XI 127-128). Un titolo perfetto per un poeta che ha sempre considerato strettamente connesse la vita e la poesia e che alla mia domanda su che cosa ancora lo spingesse a scrivere dopo tanti anni ha risposto: «la vita, la vita delle parole, la vita che dalla vita vera nella nostra mente continua o non continua e si spegne nel linguaggio, questo mi interessa e di questo voglio continuare a scrivere». I suoi testi nascono da occasioni di cronaca minuta, pretesti domestici, osservazioni del quotidiano in cui si avverte tuttavia un forte senso del sacro, ovvero il trasparire di una realtà più profonda e portatrice di senso. Il suo sguardo non è mai scettico di fronte al reale: egli sa che tutto può farsi viatico d’altro e che anche dei semplici oggetti feriali, una fuga d’aria, movenze di animali invisibili o quasi possono aprire uno spazio luminoso dentro il reale. Nella poesia Ragni l’imprevisto si materializza nella presenza di due minuscoli ragni «inquilini abusivi del soffitto», che ogni sera, sincronici, scendono come strani funamboli a trovare il poeta: basta un soffio a farli risalire. Seduto sul divano di casa il poeta li osserva, con l’occhio vigile e distante di chi non vuole disturbarli «per non turbare l’ordine naturale delle cose», operando una messa a fuoco, fino a giungere alla visione. Entro questo scenario si manifesta inaspettatamente la presenza minacciosa e inquietante di un terzo ragno (anagrammato in «rango») che «quasi robusto, nerastro» e proveniente da un altrove remoto e misterioso incombe tra i due «col fare inquisitorio / d’un commissario». In questo modo tutta la zona centrale del componimento viene scossa dal mouvement violent che la lettera /r/ viene ad assumere, già presente nei primi versi nella paronomasia formata da «scordo-riscopro». Nel finale sono la labiodentale sorda /f/ e la sonora-dentale /d/ che cucite insieme alla /i/ col fil di ferro ci introducono foneticamente e visivamente in un’atmosfera vibrante e tesa: «divorando / filo e distanza: / per fingersi di nuovo / due punti nei dintorni / di me». L’aspetto fonetico, sempre rilevante nei testi orelliani, non è tuttavia quello prevalente in questo componimento.
È una poesia a sintassi continua, tutta verticale, così che ben rappresenta il filo della ragnatela penzolante nel vuoto. Come il poeta stesso ha fatto notare. in questo testo per la prima volta ha assegnato all’interpunzione una funzione iconica: i due ragni posizionati sempre «uno a una spanna dall’altro» e destinati a non avvicinarsi mai sono rappresentati graficamente dai numerosi due punti disseminati nel testo.
Il componimento è inoltre giocato sui colori della scrittura: il colore nero dei ragni e il «gran bianco» con un evidente rimando al grand blanc di Mallarmé.
Il filo dei ragni costituisce inoltre una metafora che ci induce a una profonda riflessione sui diversi modi in cui ogni poeta può tessere la propria “tela”. La parola stessa testo (dal latino textum o textus derivante da texĕre “tessere”) ci ricorda che un componimento poetico è un intreccio di fili e nodi esistenziali, modulati secondo un ritmo ben scandito. Se i due ragni con il loro «sostare penzolando / nel vuoto » segnano un modello di lingua ondeggiante fra stasi e dinamismo, fra chiusura e apertura, con la loro calata operata «saggiando il peso d’essere, il mistero» indicano chiaramente che l’obiettivo della ricerca poetica non può esaurirsi nell’orizzonte limitato della propria ragnatela (nella quale si rischia di essere intrappolati) né nella fuga entro “il non detto” che uccide “il poco detto” , soffocandolo (il grand blanc di Mallarmè). La direzione verso cui occorre procedere è indicata in modo molto chiaro da Orelli: si tratta di quel nucleo inesauribile di mistero che si trova in fondo a ogni aspetto del reale. Come ha scritto Pessoa nel suo Libro dell’inquietudine «Il mistero non è mai così trasparente come nella contemplazione delle cose minuscole». Può essere interessante sapere che Orelli aveva trascritto di suo pugno questa frase in un suo quadernetto appuntandovi subito sotto alcuni versi che poi, rimaneggiati, avrebbe collocato nella parte finale della poesia che compare con delle varianti e con il titolo mutato da Ragni in Due Ragni nella raccolta L’ orlo della Vita : «Calano con un nulla / di filo-di-saliva / per uno spazio esiguo / dove, oscillando, sembrano / saggiare il peso d’essere, / il trasparente mistero» (informazione contenuta nelle Note del curatore Pietro De Marchi in Giorgio Orelli, Tutte le poesie, Mondadori, p. 451).
Orelli era consapevole di far parte lui stesso di quel mistero con cui conviveva quotidianamente e che cercava di “mettere a fuoco” coi suoi versi, senza tuttavia sentirne il peso o viverlo con angoscia. A lui bastava davvero poco per viaggiare dal mondo reale alla metafisica: un battito d’ali, una fioritura fuori stagione, movenze di animali invisibili o quasi, gatti che improvvisamente facevano acrobazie davanti ai suoi occhi si trasformavano in un accadimento in cui non gli era difficile cogliere i segni di una misteriosa tessitura del mondo. E questo era possibile grazie al suo sguardo che, come quello dei bambini, era in grado di scoprire la realtà, anche nei suoi aspetti più semplici e umili, con meraviglia e stupore.
Questo intervento è stato registrato in un video per il Museo di Villa Dei Cedri di Bellinzona, il 21 marzo 2021, in occasione della Giornata della Poesia dedicata a Giorgio Orelli per i suoi cento anni dalla nascita.
Il video è visibile nella pagina Facebook del Museo di Villa dei Cedri.
