Letteratura e critica - Libri d'arte
Il lavoro dell'artista è il continuo scavo nel mistero Francis Bacon

Fabio Pusterla, Sulle rive, tra le foglie, sui rami, Lithos, 2008

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Libro d’artista composto da quattro poesie di Fabio Pusterla con litografia di Samoa Rémy risvolto  di copertina e testo critico di Elisabetta Motta. Stampa su carta Litho a cura di Alfredo Taroni. La tiratura è di 100 esemplari numerati e firmati dagli autori. Edizioni Lithos 2008.  Formato 17, 5 x 25 cm
Libro d’artista composto da quattro poesie di Fabio Pusterla con litografia di Samoa Rémy risvolto di copertina e testo critico di Elisabetta Motta. Stampa su carta Litho a cura di Alfredo Taroni. La tiratura è di 100 esemplari numerati e firmati dagli autori. Edizioni Lithos 2008. Formato 17, 5 x 25 cm

Risvolto di copertina

Freddo, ghiaccio, valanghe, antri anneriti conducono il lettore nel rigore e nella desolazione dell’inverno. In questa scenografia apocalittica, che fa da sfondo a Stelle d’aquilegia, lo sguardo, risalendo dal buio dell’ombra, è catturato dalla nota cromatica dell’ “azzurro dei petali”e dal “ventre azzurro delle rondini” che, erompendo con forza e vitalità nel grigiore dell’inverno, acquistano una forte valenza simbolica positiva, fungendo da poli di orientamento.

Siamo di fronte ad uno di quei fugaci e rari momenti di pura visione e conoscenza che costellano i versi di Fabio Pusterla, e che sono realizzabili proprio grazie alla luminosità e intensità della parola poetica. La speranza che la poesia possa diventare uno strumento per intensificare la percezione immaginativa, riacquistare coscienza di noi stessi e della realtà, si riaccende nella Piccola galleria dell’evoluzione, concretizzandosi nell’immagine della “riva” del fiume, a cui si scende, insieme ad altri compagni di viaggio, per abbeverarsi. Da qui lo sguardo potrà (forse), cogliendo tre prospettive diverse, congiungere il presente al passato e proiettarsi verso il sogno di “una diversa riva”

carica file PDF di questo contenutoTesto critico

Antri anneriti, infossi, valanghe, freddo, ghiaccio, nebbia, conducono il lettore nella desolazione e nel rigore dell’inverno, che sembra non finire mai, e che “il raggio timido” di “umida luce” non riesce a dissolvere.

In tali tratti paesaggistici, sconvolti dalle intemperie, silenziosi e raggelanti, affiorano talvolta entità minime, “minerali del simbolico”, che sono caratterizzati anche coloristicamente, e che si oppongono all’incertezza di un’esistenza sfibrata, attonita, incolore. E proprio su un solidissimo impianto visivo-cromatico si sostiene la lirica Stelle d’aquilegia, che enuncia una poetica dei colori, delle luci e delle ombre, che giocano e guizzano insieme, in un rapporto di proficua complicità che ricorda i versi di Montale: “Tendono alla chiarità le cose oscure, / si esauriscono i corpi in un fluire / di tinte: queste in musiche”(Ossi di Seppia).

Il processo cromatico che si realizza nel componimento risulta essere suddiviso in tre fasi: dall’oscurità dell’ombra lo sguardo risale alla ricerca della luce; gli oggetti si trasformano in qualità coloristiche; infine i colori fluiscono fino a convogliarsi anche in qualità acustico-sonore, ma quello che nasce è solo un canto strozzato (“la prima goccia dal tubo” che “forza il blocco del silenzio”). In tale apparato cromatico spicca immediatamente l’azzurro, ad indicare il colore del cielo, dell’acqua e della terra.

Solidificandosi, esso si cristallizza nel ghiaccio, a rappresentare in modo tangibile la “fissità gelida” che imprigiona i viventi. La freddezza, che è assunta come qualità del colore e della luce stessa, porta alla paralisi dei viventi, al loro silenzio. In tale paesaggio irrompe l’oscurità dell’ombra (forse l’aquila), percepita come una realtà materica, una sorta di apparizione fisica concreta, fugace come “un respiro sospeso”. Ma in tanta oscurità proprio “l’azzurro dei petali” d’aquilegia e il ventre delle rondini, che per un gioco di riflessi sull’acqua sembra azzurro (immagine che richiama alla mente i versi de I Limoni di Montale, dove “le gazzarre degli uccelli / si spengono inghiottite dall’azzurro”), erompendo nel grigiore dell’inverno e fissandosi in maniera indelebile nella memoria, attraverso la nota cromatica, acquistano una valenza salvifica e divengono un polo di attrazione e orientamento.

Infine, le piccole mani che annaspano alla ricerca del “tesoro nascosto”(“cento stelle d’aquilegia / da stropicciare con gioia”) e la felicità del suo successivo ritrovamento, costituiscono un momento privilegiato di pura visione e conoscenza, una rivelazione fulminea che si dissolve nella bellissima immagine della “pioggia azzurra sotto il sole”. Siamo di fronte ad un’apparizione fugace, ad uno di quei brevi istanti luminosi che costellano la poesia pusterliana, realizzabili solo attraverso la luminosità e intensità della parola poetica, e che tuttavia non riescono a ricomporre l’eterno dissidio fra luce e salvezza da un lato, oscurità e perdizione dall’altro. Tale contrasto risulta evidente nella seconda lirica del trittico Piccola galleria dell’evoluzione, in cui si realizza un processo cromatico inverso rispetto a Stelle d’aquilegia: le sfumature cromatiche si incupiscono come attratte dall’orbita del nero e gli alberi divengono oscuri geroglifici.

Il colore nero rende difficoltoso lo spaziare in direzione di un dialogo, in una lotta fra un passato di presenza e di luce e un presente che ne è privo, in cui la luna ha perso la sua luminosità e le stelle sembrano aver concluso il consueto viaggio di colori nell’universo, in una quiete percorsa solo da “lontane onde, indecifrabili”. Ma proprio in questo mondo, su cui è calato un “velo opaco”, che gli occhi osservano senza più intensità, si può forse tessere qualche “filo d’Arianna”, “qualche corrimano”, attraverso la bellezza e la lucentezza della parola poetica.

E il sogno della poesia come mezzo per intensificare la percezione immaginativa, per acquistare coscienza e memoria di noi stessi e di ciò che ci circonda, come luogo di comune condivisione, non “margine”, ma “riva”, si traduce nelle restanti liriche nell’immagine poetica degli esseri che scendono alla riva del fiume per abbeverarsi. In tali componimenti il vitalismo della natura, che vale di per sé e diviene metafora dell’esistenza umana, è sottinteso attraverso le variazioni cromatiche del verde degli alberi e del grigio cenere dell’acqua, fattore in continua evoluzione ed in continuo movimento.

Infine, l’albeggiare diviene l’emblema di una fase di rinascita, che coinvolge la natura e l’intera umanità proprio attraverso l’elemento purificatore acqua e per mezzo del fumo, che esala “come un canto silenzioso”(la poesia, “fumosa in essenza”, ha scritto Pusterla in Concessione all’inverno (C.D.D.), potrà forse un giorno elevarsi “a nube purpurea, iridescente”).

Nel saggio Domande, margini, rive, raccolto nel volume Il Nervo di Arnold, di recente pubblicazione, il poeta ritorna ancora una volta sul tema della riva. Dalla riva del fiume -scrive Pusterla- “lo sguardo può cogliere contemporaneamente tre prospettive diverse e complementari. Quella laterale dell’acqua che fluisce, movimento che scandisce il trascorrere del tempo, e suggerisce l’idea di un viaggio che unisce il passato e il futuro, aprendo un varco indefinito. Quella verticale che scende verso il letto del fiume, luogo d’alghe e di movimenti sinuosi, e da lì risale verso l’alto come un raggio di luce riflessa, sprigionato dal guizzo di una coda fuggitiva.

E infine quella che si apre proprio di fronte agli occhi, e parla di una diversa riva, speculare e irraggiungibile, vasta come un sogno impreciso o incomprensibile. E in mezzo a queste linee immaginarie, a queste direzioni dell’aria e del paesaggio (non importa che l’aria sia tersa, il paesaggio idilliaco), la parola poetica cerca in sé l’energia per concentrare una simile complessità, per preservarla e trasmetterla altrove, dove muri chiudono la vista, luci abbaglianti accecano: per ricondurla in quel centro muto del dolore contemporaneo che va riconquistato alla parola e alla coscienza”.

PICCOLA GALLERIA DELL’EVOLUZIONE

L’acqua, si pensa all’acqua che non c’è.
Cercare l’acqua, sempre: abbeverarsi
insieme, anche se in sogno. Spalla a spalla,
grugnendo, e sollevare
il muso verso il sole
che riscalda. Siamo quaggiù,
cocciuti dentro un fiume mentre albeggia,
e sopra l’acqua il nostro corpo esala
del fumo, come un canto silenzioso

*

Questa è una radura, il sorriso
aperto dell’erba tra gli alberi scuri.
Qui splendeva la luna, alzando gli occhi
correvano stelle, pianeti.

Questa  è la nostra radura dove ascolti
il ronzio dello spazio che ti lacera. Vibrazione
della materia oscura, dell’eterno
inerte lavorìo del firmamento. Galleria
senza più luce, bolla di silenzio. Quiete
solo percorsa da lontane onde, indecifrabili.

*

[…]

Fabio Pusterla


STELLE D’AQUILEGIA

Da quale ombra risale lo sguardo,
da che infosso  – verso l’azzurro dei petali, il ventre
azzurro delle rondini in picchiata sull’acqua –
di silenzio invernale:
valanghe, antri anneriti e il tempo lungo
del ghiaccio. Ma risale,
verso le piccole mani che annaspano
e si aggrappano: eccole, adesso trovano
il tesoro nascosto, cento stelle d’aquilegia
da stropicciare con gioia, se poi ricadono
dal cielo, come una pioggia azzurra sotto il sole.

*

Sulle pietraie scoscese passa un’ombra,
un respiro sospeso. Forse l’aquila
che scivola nell’aria fra le gole
tra poco sbucherà, l’ala spiegata
ferma nel vento freddo delle cime
Fischi tra rocce, e stormi che volteggiano: segnali

*

[…]

Fabio Pusterla

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Posted in Curatele Libri d’Arte

Elisabetta Motta View posts by Elisabetta Motta

Sono scrittrice, autrice di articoli, recensioni, interviste e saggi critici sulla poesia contemporanea. Amo l’arte in ogni sua forma, in particolare mi affascina in poesia il binomio parola / segno. Ho avuto la fortuna di incontrare nel corso degli anni alcuni piccoli editori che realizzano libri d’arte e poter collaborare alle loro edizioni con i miei testi critici. Come operatrice culturale organizzo eventi per La Casa della Poesia di Monza (di cui sono Vicepresidente dal 2015) nello splendido scenario della Villa Reale e del parco. Insegno lettere da molti anni in un liceo artistico a dei ragazzi meravigliosi ai quali cerco di trasmettere la mia passione per la poesia e per la bellezza e la convinzione che il lavoro dell’artista è il continuo scavo nel mistero. E di certo continuerò, finché avrò voce e fiato per farlo.

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