
Risvolto di copertina
Da un grumo di memoria, prezioso come uno scrigno, nasce Un Esordio, un bellissimo racconto autobiografico sul potere libertario e sovversivo della scrittura. Con una prosa nitida e scarna, sempre al confine con la poesia, Erri De Luca è riuscito a comunicarci la grande emozione che ha vissuto da studente, sui banchi di scuola, nello sperimentare che“la scrittura era campo aperto, via di fuga”. Un esordio narrativo dunque all’insegna della libertà d’espressione, stroncato da una falsa accusa del suo insegnante, proprio colui che invece avrebbe dovuto cercare di incoraggiarlo, stimolando la sua creatività. “In quel punto di attrito tra la mia verità e la loro – scrive Erri De Luca – si formò nel mio corpo una noce di resistenza opposta al dominio, che per istinto abusa”. E proprio quell’istante di “passione” e “rivolta”, vissuto allora, continua ad alimentarsi nei suoi scritti e a costituire l’elemento essenziale della sua ispirazione.
Testo critico
Il testo critico è contenuto su foglio sciolto all’interno del libro d’arte
Via di fuga
“La mia scrittura – ha dichiarato Erri De Luca in un’ intervista a Railibro -nasce sempre da un ricordo, e quindi da una cosa che mi è accaduta. Ma prima devo aver dimenticato. La mia memoria di tanto in tanto mi concede una reliquia, un rimasuglio di ricordo che io sono contento di prolungare attraverso la scrittura”. E proprio da un grumo di memoria, prezioso come uno scrigno, nasce questo bellissimo racconto autobiografico sul potere libertario e sovversivo della scrittura. Con una prosa nitida e scarna, ma non priva di metafore e sempre al confine con la poesia, egli è riuscito a trasmetterci la grande emozione che ha vissuto quand’era studente, sui banchi di scuola, nello sperimentare che la scrittura “era campo aperto, via di fuga”. La licenza improvvisa “pizzicava il cranio”, le dita stringevano la penna “fino ad indolenzire le dita”, “scrivevo e i pensieri scalpitavano per uscire e correre anche loro. Fu un precipizio di scrittura”.
Un esordio dunque all’insegna della libertà d’espressione, stroncato da una falsa accusa del suo insegnante, colui che invece avrebbe dovuto cercare di incoraggiarlo, stimolando la sua creatività; per questo fu un colpo ancora più duro. Ma paradossalmente, proprio dall’insuccesso della didattica e dalla sperimentazione dell’ “incompetenza dei poteri costituiti”, si è generata quella “noce di resistenza opposta al dominio, che per istinto abusa”.
“Oggi – scrive – conosco l’inconsistenza delle autorità, delle gerarchie ufficiali. A quel tempo invece erano integre e indiscutibili. Dal torto di quel giorno spiccò la crepa, la lesione che le demolì dentro di me col tempo”. Proprio tale spirito di ribellione verso i poteri istituzionali che ammettono soprusi lo ha spinto a prendere parte alle lotte sociali del Sessantotto e nel 1980 a partecipare alle manifestazioni di fronte ai cancelli della Fiat. Oggi, a distanza di anni, placati gli ardori rivoluzionari dell’età giovanile, egli scende in campo per dar voce “agli sconfitti a vita”, ai carcerati, ai perseguitati politici e ai tanti clandestini naufraghi nei nostri mari, e lo fa anche attraverso la poesia e la scrittura giornalistica. E la denuncia è forte, tagliente, proprio perché sul filo del rancore e dello sdegno, resa ancor più amara da una mancanza di prospettiva positiva per il futuro. Ma, al di là di qualsiasi connotazione politica o sociale si voglia dare alla sua produzione, il testo ci invita a riflettere sul fatto che la scrittura in sé è sempre un atto sovversivo e di rivolta, dato che noi non scriviamo generalmente “per”, ma scriviamo “contro”: essa diventa un rifugio che ci astrae dalla realtà e pone una tregua fra noi e il mondo. Scrive a tal proposito: “Sono uno che si è messo a scrivere, da quel giorno, per forzare le chiusure intorno”. E proprio la scrittura ha costituito nella sua vita, soprattutto nei venti anni di attività da operaio, una forma di “resistenza”, “di contrappeso” al “duro lavoro”: “il tempo migliore”, “il tempo salvato” da esso. “Ho fatto per anni il muratore, e quando lo facevo mi occupavo di muri: di buttarli giù e di costruirli. Invece scrivere è percorrere, avviarsi in un sentiero e lasciare una traccia che poi qualcun altro potrà seguire. Un’andatura, un andarsene al largo percorrendo un tratto. Non alzare un muro”.
Scrivere dunque è anche un gesto di prolungamento di sé, un avvicinarsi all’ altro, costruendo un ponte. Che la scrittura possa costituire “un dono” oltre che per sé, anche per gli altri, rimane una sorpresa a cui mai, scrive in Alzaia, potrà abituarsi: “E’ uno di quegli scambi, incontri di fortuna, improvvisati, a distanza, come versare vino in un bicchiere lontano”. Nella società di oggi, in cui la cultura ufficiale è sempre più lontana dalla scrittura, la magia dell’incontro di cui parla Erri De Luca non può che avvenire nella dimensione individuale e privata, l’unica all’interno della quale il lavoro dello scrittore possa trovare ancora spazio e valore. Tale incontro avviene a volte per vie misteriose e strane, che ci sfuggono e ci sorprendono. Nel suo caso, forse, è proprio quell’istante di “passione” e di “rivolta”, che noi riusciamo a cogliere come elemento essenziale della sua ispirazione, ciò che ci cattura e ci coinvolge nella sua narrativa.