Letteratura e critica - Libri d'arte
Il lavoro dell'artista è il continuo scavo nel mistero Francis Bacon

Elisabetta Motta Immagini religiose nella poesia di Eugenio Montale, Quaderni Balleriniani, 1996

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Elisabetta Motta, Immagini religiose nella poesia di Eugenio Montale, Quaderni Balleriniani, 1996
Elisabetta Motta, Immagini religiose nella poesia di Eugenio Montale, Quaderni Balleriniani, 1996
Premessa di Claudio Scarpati

Lo studio di Elisabetta Motta, frutto di una profonda rielaborazione di quella che fu la sua tesi di laurea, promossa e guidata da Francesco Mattesini, presso la facoltà di Lettere e Filosofia dell’ Università Cattolica di Milano e discussa nel 1991, costituisce una completa schedatura delle immagini religiose che popolano  la poesia di Eugenio Montale. La vastità del catalogo potrà sorprender coloro che conservano nella mente il quadro dell’opera di Montale consegnatoci dalle antologie scolastiche. I grandi testi della Silvae (una sezione della Bufera, risalente agli anni tra il 1944 e il 1947) sono stati considerati tanto ardui che raramente, e sol o in  tempi recentissimi, si è tentato di immetterli nella circolazione scolastica entro la quale, meritatamente, Montale acquista la posizione di figura centrale della letteratura e nella cultura del secolo che sta per finire.

Ai testi delle Silvae,  a quelli che chiudono l’antica raccolta di Ossi di seppia, ad alcune somme  liriche delle Occasioni, Elisabetta Motta dedica la sua prevalente attenzione. Ma il suo lavoro porta alla luce anche una messe assai ricca di testimonianze biografiche, di riferimenti a testi non poetici e si svolge in un dialogo continuo con la più accreditata esegesi montaliana, da Contini a Jacomuzzi a Cambon.

Il metodo adottato da Elisabetta Motta è quello del rispetto rigoroso dei testi, di fronte ai quali non sono  operate forzature interpretative; l’analisi si avvale delle risultanze più sicure del lento processo di penetrazione e comprensione cui tuttora la poesia di Montale è soggetta, processo certo destinato a prolungarsi in un futuro non vicino. Il suo saggio diviene per queste ragioni una guida per gli studenti e gli insegnanti che vorranno percorrere una delle linee portanti del cosmo poetico montaliano. Di fronte alla poesia, d’altra parte, ogni lavoro di sistemazione dei dati, di sintesi interpretativa, ha lo scopo di introdurre  e di spingere alla lettura dei testi.

La poesia di Montale, più di altre, chiede di essere riletta e memorizzata. Come risulterà da queste pagine, l’idea di un Montale oscuro e indecifrabile nasceva solo dall’inerzia intellettuale di quanti preferivano affidarsi a pagine poetiche ritenute più accessibili perché più lievi e rassicuranti. Montale non è poeta statico:  scrive ponendosi di fronte a una tradizione e attivando rinvii che vanno dalla Bibbia, a Dante a Eliot; chiama ad agire nei suoi testi nuclei di pensiero che si rifanno alla filosofia interrogante di Pascal, di Schopenhauer, di Jaspers. I primi tre libri della sua opera (le scritture, dunque, dei primi sessant’anni della sua vita) si presentano oggi come il lascito poetico più denso di cultura che sia stato consegnato alla letteratura di questo secolo. Due generazioni, come ha scritto Contini, hanno percepito «un’esigenza religiosa nella desolazione nuda di Montale, questo vuoto che sembra sul punto di riempirsi di Dio». Anche alla nuova generazione, forse ancor più vivamente, deve essere dato il modo di ripetere questa percezione. Lo studio di Elisabetta Motta offre un contributo prezioso perché sia intessuto su uno sfondo meno convenzionale, nel centenario della nascita di Montale, il rapporto di domanda e risposta tra il poeta e i giovani che si affacciano al secolo nuovo.

Introduzione  dell’autrice

L’opera di Montale costituisce un capitolo obbligato nella storia della coscienza contemporanea e per chi voglia analizzare la figura dell’uomo problematico novecentesco.  Certamente Montale è un poeta in cui si è riconosciuta tanta parte di noi, della nostra inquietudine, e ha avuto il merito di saper scavare a fondo nella vita dell’uomo, al di là delle apparenze e della banalità quotidiana. Lui stesso dichiara:

L’argomento della mia poesia è la condizione umana in sé considerata, non questo o quell’avvenimento storico. Ciò non vuol dire estraniarsi da quanto avviene nel mondo, significa solo coscienza e volontà di non scambiare l’essenziale con il transitorio.

Dai suoi testi emerge il forte travaglio morale e spirituale che ha segnato tutta la sua vita e la continua ricerca di qualcos’altro o di un Altro che potesse dare un senso alla sua esistenza, convinto che «la vita ha un significato che ci sfugge». Quest’ansia di assoluto, che lo ha accompagnato costantemente, è diventata anche il vero leitmotiv della sua poesia, come ha confessato lui stesso in una dichiarazione rilasciata nel 1965:

Io sono un poeta che ha scritto un’autobiografia poetica senza cessare di battere alle porte dell’impossibile. Non oserei parlare di mito nella mia poesia, ma c’ è il desiderio di interrogare la vita. Agli inizi ero scettico, influenzato da Schopenhauer. Ma nei versi della maturità ho tentato di sperare, di battere al muro, di vedere ciò che poteva esserci dall’altra parte della parete, convinto che la vita ha un significato che ci sfugge. Ho bussato disperatamente come uno che attende una risposta.

Proprio in questa sua continua tensione verso “l’oltre” e verso “l’Altro”, ci pare di ravvedere l’origine del suo atteggiamento religioso, qualora per “senso religioso” si intenda, nell’accezione più ampia del termine, l’insieme di interrogativi posti dall’uomo relativi al senso dell’esistere, all’aldilà, all’immanenza e trascendenza di Dio, domande insistite in Montale e che sollecitano l’urgenza di una risposta. Tale aspetto  è sempre stato un po’ sottaciuto dagli interpreti di Montale e spesso sono stati espressi giudizi negativi in riferimento alla sua “religiosità”. Ancora oggi, infatti, il Montale che tiene il campo, quello più documentato dalle antologie scolastiche, è il Montale  scettico, ma non va dimenticato che quella scettica fu solo una fase del suo apprendistato poetico, la fase iniziale, completamente messa in discussionea, e che lui stesso ci ha invitati a leggere le sue opere “in continuità”. Bisogna tener conto, allora, di tutto lo sviluppo del grande libro della poesia montaliana come “romanzo biografico” incentrato su un persistente motivo conduttore: la ricerca del «bandolo del Vero» e l’interrogazione insistita sul senso ultimo dell’ esistere. A chi gli chiedeva che cosa avesse voluto comunicare attraverso tanti anni della sua poesia rispondeva  che «doveva essere intesa come invito alla speranza» pertanto, nel corso del nostro lavoro, abbiamo “lasciato parlare” quei testi in cui ci è parsa fortissima la “tensione in positivo”, attingendo in particolare dalla Bufera, ma anche dalle altre raccolte (Ossi di Seppia, Le Occasioni, Satura, Diari del ’71 e ’72, Quaderno di quattro anni, Altri versi, Diario postumo), non tralasciando opportuni riferimenti alle opere in prosa.

Forse il motivo che ha indotto molti critici a esprimer opinioni contrarie alla sua religiosità è da ricercare nel fatto che, a livello teorico, non emerge una chiara e univoca enunciazione etico-religiosa: in lui l’istanza religiosa si presenta solo in forma ipotetico-proiettiva, non propositiva, non riuscendo a superare il dubbio e la riserva scettica. Pur riconoscendo in se stesso la presenza di qualche «fermento cristiano», si dichiara non praticante, afferma di rispettare tutte le chiese solo come istituzioni e di credere in una religione senza dogmi  e senza apparato ecclesiastico.

Non mancano tuttavia dichiarazioni nelle quali esprime un giudizio positivo sul valore storico del cristianesimo. Di certo l’interrogativo religioso cristiano non lo lascia indifferente, benché si definisca «semicristiano a modo mio», oppure «cristiano» ma «per eredità» e «in pratica». Essere «cristiano in pratica» significa per Montale vivere la religione come fatto personale, come  itinerarium cordis, basata sulla pratica del bene.

Fra gli atteggiamenti religiosi ne isola uno che mediatamente possiamo affermare come appartenente alla religione cristiana: l’atteggiamento sacrificale. Il tema del sacrificio di sé per “altri”, che trova nella redenzione sacrificale di Cristo l’espressione più alta e compiuta, percorre infatti tutta la poesia di Montale. Presente fin dalla prima raccolta, dove viene opposto al determinismo del “male di vivere”, tale tema giunge a pieno svolgimento solo nella Bufera, attraverso la figura di Clizia, la “Cristofora” o “portatrice di Cristo”, colei che si sostituisce al poeta nel suo progetto di “pagare per tutti”. Nemico di ogni astratto spiritualismo il poeta-Nestoriano rivolge poi tutta la sua attenzione al mistero dell’incarnazione e passione di Cristo, rievocata attraverso l’uso di simboli e del lessico  appartenenti alla tradizione cristiana.

Ma è nell’ultima fase della sua stagione poetica e in particolare in alcuni testi che affrontano il tema della morte  e dell’ “oltre vita”, che avvertiamo una tentata effrazione delle chiuse immanentistiche. Giunto ormai al termine della sua esistenza, quando la morte diventa un problema che lo riguarda da vicino, il poeta tradisce il suo dubbio circa l’aldilà e lascia trasparire la sua attesa di un “Altro”, a cui ama pensare come un “imprevisto” salvifico. Si sa che Montale è morto cristianamente, ricevendo l’estrema unzione, ma siamo anche consapevoli che, se davvero negli ultimi giorni della sua vita c’è stato un riavvicinamento a Dio, questo è avvenuto dopo un lungo travaglio interiore,  fra inquietudini e difficoltà di ogni sorta, pertanto, la sua esperienza religiosa, se pur minata dal dubbio e dall’inquietudine, sostenuta tuttavia dalla «speranza tenace» e «lenta a bruciare», suscita in noi la massima considerazione e un grande rispetto.

Per quanto riguarda poi lo specifico letterario, la fortissima tensione allegorica e il tono apocalittico-profetico, che avvertiamo in molte sue poesie, oltre ad essere elementi ineliminabili del linguaggio religioso, chiamano inevitabilmente in causa il supremo modello dantesco. Ed è proprio l’ascendenza dantesca a segnare l’origine e la natura della sua recerche , compiuta  dallo  smarrimento e dall’oscurità al desiderio di luce. Certo, il suo viaggio dantesco rivela solo l’aspetto purgatoriale, essendo la pienezza intravista solamente quale possibilità lontana e intermittente o addirittura irraggiungibile, ma ciò che conta è che in lui l’attesa e la speranza non vengano mai meno.

Bibliografia

Domenico Flavio Ronzoni, “Omaggio a Montale dei “Quaderni Balleriniani”, Il Cittadino idi Monza e Brianza,  26 maggio 1996.

“La religione per Montale è un Quaderno balleriniano”, Il Cittadino di Monza e Brianza,  sabato 1 giugno 1996.

Articolo La religione per Montale - Il-Cittadino di Monza e Brianza, sabato 1 giugno 1996
Articolo La religione per Montale – Il-Cittadino di Monza e Brianza, sabato 1 giugno 1996
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Sono scrittrice, autrice di articoli, recensioni, interviste e saggi critici sulla poesia contemporanea. Amo l’arte in ogni sua forma, in particolare mi affascina in poesia il binomio parola / segno. Ho avuto la fortuna di incontrare nel corso degli anni alcuni piccoli editori che realizzano libri d’arte e poter collaborare alle loro edizioni con i miei testi critici. Come operatrice culturale organizzo eventi per La Casa della Poesia di Monza (di cui sono Vicepresidente dal 2015) nello splendido scenario della Villa Reale e del parco. Insegno lettere da molti anni in un liceo artistico a dei ragazzi meravigliosi ai quali cerco di trasmettere la mia passione per la poesia e per la bellezza e la convinzione che il lavoro dell’artista è il continuo scavo nel mistero. E di certo continuerò, finché avrò voce e fiato per farlo.

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