Letteratura e critica - Libri d'arte
Il lavoro dell'artista è il continuo scavo nel mistero Francis Bacon

Elisabetta Motta e Fabio Pusterla Colori in fuga, La Vita Felice, 2012

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Elisabetta Motta e  Fabio Pusterla Colori in fuga, La Vita Felice, 2012
Elisabetta Motta e Fabio Pusterla Colori in fuga, La Vita Felice, 2012
Introduzione di Elisabetta Motta

Fatta eccezione per la seconda raccolta, Bocksten, quasi totalmente dominata dal buio e dall’ombra, la restante produzione pusterliana si caratterizza per un uso  ricco e vario dei colori, che il poeta nei suoi libri ha dosato in modo differente, ma utilizzato  secondo moduli espressivi affini. È pertanto possibile istituire fra le varie raccolte una “linea grammaticale” comune, che contempla la presenza di determinanti coloristiche aggettivate, sostantivate  o tradotte in verbi. Tuttavia,  la propensione di Pusterla all’aderenza al dato reale, fa sì che i colori  non vengano   rievocati  generalmente mediante l’uso del semplice colore-sostantivo (“i rossi”, “i gialli”… come colori astratti, “staccati”), ma siano più spesso legati a materiali specifici quali legno, carta, metalli o a superfici, ad elementi naturali quali  fiori,  alberi, animali, cielo, acqua oppure ad oggetti ricollegabili a particolari momenti dell’infanzia. Le qualificazioni coloristiche delle cose sembrano dunque costituire per il poeta un elemento assolutamente necessario per farle risplendere nella loro naturale bellezza  e per fissarle nella memoria, proprio attraverso la nota  di colore che funge  da sostegno, evocandole nei momenti “di smarrimento”. Ma i colori nella poesia non sono solo la registrazione di un dato di realtà (anche se essa resterà sempre nella poesia di Pusterla un elemento imprescindibile) essi sono “dei catalizzatori di percezioni ed associazioni mentali”, legati ad odori, suoni, forme, riconducibili a sensazioni psicologiche di caldo / freddo, paura / gioia… del tutto  soggettive, a ricordi di eventi luttuosi o felici che hanno segnato la sua  esistenza. In particolare la morte del padre e la perdita di numerosi  cari amici hanno contribuito a colorare di nero molti versi, mentre è grazie alla nascita della prima figlia del poeta,  Nina, o meglio in merito  al profondo cambiamento che la sua nascita ha comportato nel suo modo di vedere la realtà, che “la grazia dei colori ha potuto manifestarsi”.

Attraverso il recupero dello stupore e della meraviglia, tipici dell’infanzia, l’Io del poeta viene attratto da elementi della natura umili e semplici: foglie secche, ghiande, sassi colorati… Il rischio di una eccessiva  psicologizzazione del paesaggio, insito già fin dalla prima raccolta,  e spesso in agguato, viene tuttavia radicalmente  superato solo   grazie ad un  importante incontro, quello con Philippe Jaccottet (avvenuto sul finire degli anni Ottanta), poeta anche lui svizzero, ma appartenente ad un dominio linguistico e culturale diverso, di cui Pusterla ha curato numerose traduzioni. L’avvicinamento a tale poeta segna l’avvio di una nuova stagione, quelle delle cosiddette “poesie paesaggistiche” in cui “il poeta ammutolito”1, fatto tacere il proprio Io, riscopre la natura e il suo linguaggio fatto di colori, suoni, odori, e  trascrive ciò che vede e percepisce nell’ hic et nunc dell’incanto. La via battuta diventa quella del fenomenismo: contemplare le cose in se stesse, senza brama di possesso, per rinvenirne la qualità ontologica, l’essenza. Ecco allora il poeta che, attraverso le descrizioni di minimi cambiamenti di luce ed ombra, “lampi” o “guizzi”, o dei “barbagli” fra le foglie, è volto a cogliere quegli statement fulminei nei quali si rivela la pienezza dell’essere. È il giallo, colore caldo e vivace, legato alla terra, ma anche ai fiori e alla luce, ad accompagnare alcuni momenti di grazia ed illuminazione, “improvvisi bagliori”.

Le numerose ierofanie che costellano la poesia di Pusterla, si manifestano anche attraverso la luminosità del bianco, nota cromatica utilizzata spesso per caratterizzare fiori, animali, ma soprattutto per esprimere,  attraverso la neve e il ghiaccio, il rigore e la freddezza dei paesaggi invernali. E proprio in tali scenari  desolanti e silenziosi, dominati dal gelo o sconvolti da frane e smottamenti, affiorano talvolta entità minime che si caratterizzano anche coloristicamente: esse si oppongono ad un’esistenza sfibrata, attonita, incolore, assumendo una grande efficacia figurativa ed energia vitale.  Proprio l’azzurro, colore fortemente radicato nell’animo del poeta, e che permea di sé gran parte del paesaggio, concretizzandosi nei suoi elementi: cielo, mare, fiume, lago, ghiaccio, fiori (e talvolta nella roccia e nell’ ombra), assolve in numerosi componimenti ad un privilegiato “ruolo salvifico”, fungendo da polo di orientamento. Note contrappuntistiche di rosso infiammano i cieli con albe e tramonti (annunci epifanici o segnali di imminenti catastrofi ecologiche), tingono alberi e foglie nella stagione autunnale, mentre tragicamente la neve si fa rossa per il sangue dei cervi uccisi dai cacciatori, emblema del tanto sangue innocente versato. Il grigio, invece, colore legato al tema della memoria,  viene utilizzato dal poeta per precisare gli ambiti temporali e spaziali delle liriche in cui è presente. Numerosi i verdi, che esercitano  un grande fascino sul poeta ed esprimono la vitalità della natura e il suo dinamismo, ma anche la sua “caparbietà”.  Un fattore cromatico molto attivo risulta infine essere il nero, colore luttuoso, legato dunque al tema della morte, ma che diventa determinante, come si può cogliere in Pietra sangue, per far “svettare” per contrasto l’intera gamma dei colori, simboleggianti il divenire della vita. Sono dunque colori “in fuga” quelli che si inseguono nei versi di Pusterla, dinamici,  sfuggenti. Come le parole poetiche  e come la musica sono incatturabili.  Scappano da tutte le parti e non si riescono mai a fermare  come i  sogni, i desideri, gli ideali, come le cose belle2. Colori che guizzano e giocano insieme, in un rapporto proficuo e  dialettico con la luce, il buio e l’ombra, avvertiti come presenze  concrete e reali, ma colti anche nel loro significato metafisico, simbolico e  morale,  manifestano  “la sfuggente, bellissima e terribile contraddittorietà del nostro esistere”.

Prefazione di Claudio Scarpati

La poesia di Fabio Pusterla acquista complessità di raccolta in raccolta. Chi ne vuole sondare gli strati deve decidere una linea di attraversamento. È quanto compie Elisabetta Motta in questa interrogazione del corpus del poeta ticinese condotta seguendo la traccia delle scelte cromatiche e della loro significazione. Si tratta di una decisione soggettiva, ma in grado di produrre illuminazioni che guidano il lettore attraverso l’intrico su cui si costruisce uno dei più singolare edifici poetici degli ultimi decenni.

Sondare il mondo poetico di Pusterla conduce a riconoscere la qualità di “poeta visivo” che lo definisce in forza di quella inesauribile decifrazione del paesaggio che rappresenta l’atrio del suo scandaglio psicologico e della sua espansione in direzione drammatica verso la poesia civile. Ma anche lo scrutinio cromatico pone in atto l’indagine di cui si sostanzia molta della poesia di Pusterla, vero analista della percezione («attentissima concentrazione», lui la definisce), che trova nell’universo cromatico l’aspetto non esauribile della varietà del mondo.

In un’epoca di sovraccarico percettivo, di spreco dell’immagine, scomporre la percezione significa rallentare il flusso che ci trascina, recuperare l’attenzione, ridistribuirla secondo un ordine di grandezza che era perduto. In più l’invito a registrare il modularsi della luce, in cui il variare cromatico consiste, comanda al lettore di uscire dal torpore della semicoscienza, facendolo avvertito dell’esistenza degli oggetti, della possibilità di esperienza profonda, di quella penetrazione unica dell’universo che alla poesia è concessa. “Parlare il colore”, infine, significa accettare il cimento originario tra la parola e l’immagine, mostrare che la parola giunge là dove l’univocità della rappresentazione figurata non può più pervenire in forza della duttilità e pieghevolezza dello strumento verbale con i suoi effetti di risonanza simbolica, di allusione, di eco, di rinvio al non detto e al dicibile.

Questi lati nascosti della lirica di Pusterla vengono portati in primo piano dallo studio di Elisabetta Motta che ora vede la luce con il corredo di alcune straordinarie prose-saggio da lui scritte: esse attestano il nutrimento che la cultura offre alla poesia e la continuità tra meditazione ed esercizio letterario. In essa ancora è in discussione la relazione fra i linguaggi: il monstrueux vraisemblable di Goya, ove il poeta racconta e penetra nell’opera di un pittore, la fotografia di Jean-Pascal Imsand che «ragionava come un poeta, o forse meglio come un pittore», l’essenza della poesia che sta al di là della ragione calcolante ma è a suo modo “filosofica”, che sta ai margini, ma disvela ciò che è centrale; infine, ancora, sulla precisione percettiva come introduzione alla scrittura poetica.

Situato per la sua nazionalità elvetica all’incontro fra le lingue, Pusterla si colloca anche all’incrocio tra le discipline, interrogandosi sul “prima” della poesia, sul bacino di vita e di esperienza da cui trarre origine, sul nesso che la lega alle arti dell’immaginare, sul rapporto tra poesia e visione e sul legame che, sotterraneamente intercorre tra poesia e pensiero.

Bibliografia

Lorenzo Morandotti “ Percorsi cromatici in Brianza alla scoperta della poesia di Pusterla”,  Corriere di Como, 25/05/2013  www.corrieredicomo.it

Recensione di Alida Airaghi:

spaziolaboratoriolacornice.blogspot.it – Alida Airaghi 

Un modo decisamente particolare, e originale, di avvicinarsi alla poesia di Fabio Pusterla, attraversandola tutta, dalle origini agli esiti più recenti: Elisabetta Motta scandaglia la produzione del poeta ticinese attraverso le tracce lasciate nei suoi versi dai colori, dalla luce, dall’ombra e dal buio che, come afferma l’autore “non possono sottrarsi al significato simbolico e morale che si è su di loro cristallizzato nella storia umana”. Quindi l’azzurro e il verde richiamano la vitalità e il dinamismo della natura, il bianco la luminosità e il rigore dei paesaggi invernali elvetici, il rosso e il giallo il calore e la passionalità, il grigio nelle sue varie sfumature la trasparenza o l’oppressione, il nero ovviamente la morte e il lutto, il contrasto e il silenzio. “Colori in fuga” che si inseguono nel mondo cromatico di Pusterla, che li ritiene importanti per penetrare nella comprensione della sua scrittura: “Esistono nella loro complessità, talvolta nella loro lotta serrata; e forse manifestano ai miei occhi la sfuggente, bellissima e terribile contraddittorietà del nostro esistere”.

Attraverso l’individuazione e l’analisi dell’utilizzo dei colori nei versi del poeta, Elisabetta Motta enuclea i temi fondanti e ricorrenti del suo corpus letterario: aderenza alla poetica degli oggetti, conservazione della memoria, resistenza all’omologazione, accettazione del disagio del vivere, recupero del dialogo tra l’io e il mondo, attenzione all’aspetto psicologizzante o metaforico del paesaggio, riflessione sulla morte e sulla violenza della storia, partecipazione al reale nella sua quotidianità, denuncia ecologica. Una poesia degli affetti, inoltre, che sa farsi coscienza civile e partecipe al destino di ciascuno e di tutti, anche attraverso la frequentazione assidua di nomi fondamentali della letteratura e dell’arte, come testimoniano i sei saggi finali dello stesso Pusterla, che cita pittori, scrittori e fotografi rivisitati con percettiva e acuta sensibilità.

La vita felice editore
lavitafelice.it

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Sono scrittrice, autrice di articoli, recensioni, interviste e saggi critici sulla poesia contemporanea. Amo l’arte in ogni sua forma, in particolare mi affascina in poesia il binomio parola / segno. Ho avuto la fortuna di incontrare nel corso degli anni alcuni piccoli editori che realizzano libri d’arte e poter collaborare alle loro edizioni con i miei testi critici. Come operatrice culturale organizzo eventi per La Casa della Poesia di Monza (di cui sono Vicepresidente dal 2015) nello splendido scenario della Villa Reale e del parco. Insegno lettere da molti anni in un liceo artistico a dei ragazzi meravigliosi ai quali cerco di trasmettere la mia passione per la poesia e per la bellezza e la convinzione che il lavoro dell’artista è il continuo scavo nel mistero. E di certo continuerò, finché avrò voce e fiato per farlo.

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