Testo critico
«Dammi mille baci, poi cento / poi altri mille, poi ancora cento» scriveva Catullo a Lesbia, sperimentando che la misura adeguata per le cose belle della vita, come i baci e l’amore, è la dismisura. L’infinito. Che non sta in nessun conto, che rompe ogni chiusura. Che inizia sempre- Lo ha scritto in modo straordinario molti secoli più tardi Rilke nelle sue Elegie duinesi quando, riflettendo su come nella vita «tutto cospira a tacere di noi», chiede agli amanti se sanno qualcosa circa «il permanere della vita» e se il tocco della mano dell’amato sia solo «un po’ di sensazione» o «una promessa / quasi d’eternità».Torna oggi a cantarlo Rondoni coi suoi componimenti poetici, in cui emerge a più riprese come un vero e proprio cardine la ricerca dell’infinito nell’amore, nel bello, nel mistero: un infinito che ci è dato toccare e conoscere in modo non “effimero” e che la vita reclama in quanto ne costituisce la vera “misura”. Questo particolare atteggiamento costituisce l’imprinting generativo della sua poesia, che gli consente di rivisitare gli eventi della vita alla luce di quella dismisura che prende corpo in un desiderio non pacificato di amore, di partecipazione a tutta la sostanza dell’essere. Così in Sei un amore perché sei un racconto «Amore che non riesce a chiudere / il ventaglio dei baci» genera quello sperdimento che è la condizione necessaria per “ritrovarsi” ed essere felici, reale alternativa ad una vita chiusa in se stessa, rinunciataria, fatta di amori tristi.
Dismisura che si rende manifesta in modo evidente anche nell’incisione che accompagna il testo poetico, in cui un «omarello» offre come gesto d’amore spontaneo un fiore «più grande del possibile». Cercare l’infinito nell’amore significa anche riconoscere che non è una questione di durata d’anni, ma di dimensione dell’attimo, quell’attimo che raccoglie dentro se stesso il tempo e si vorrebbe infinito, quell’attimo in cui l’amato vive solo grazie allo sguardo dell’amata: «sono lo stesso momento di sempre / da quando hai alzato lo sguardo / e il tuo respiro ha reciso il mio nome dal niente». Un infinito che si è incarnato, che si rivela una presenza concreta nella vita di tutti i giorni, per questo il poeta lo può vedere mentre si presenta «travestito alla festa» «con gli occhi di un ferito», mentre chiede «se c’è da bere qualcosa» o lo può scorgere negli occhi dei propri figli e della donna amata. Proprio lei, la donna, grazie anche alla sua capacità di donare la vita, custodirla e proteggerla, rappresenta la cerniera più autentica fra il mistero e la sua incarnazione, ponte fra cielo e terra. Le parole, i silenzi, i suoi gesti si modulano e si compongono agli occhi del poeta in un racconto in cui egli può “leggere” i segni della presenza di Amore nella propria vita, da quelli più evidenti alle «impronte» così profonde che sembrano scomparire o annidarsi fra le quinte dell’ombra e della solitudine («le troverà solo il demonio / prima di mettere il cappello e / spegnere la luce»). Il poeta lo dimentica ogni sera e lo ricostruisce ogni giorno, come se durante l’oscurità notturna si covasse un nuovo seme di freschezza in grado di concedere, in quell’attimo di visione quotidiana con la bellezza di lei, il rinnovarsi del miracolo di una nuova alba, di un nuovo inizio.
Amare una persona è il racconto di un lungo viaggio in cui non sono esenti temporali e momenti bui, alternati a luci sfolgoranti e improvvisi bagliori, per questo egli non lo “dipinge” con uno sfondo idilliaco, ma con le sue «nuvole inquiete» e le luci rubate «ai visi attoniti di santi dipinti / e alle biciclette abbandonate vicino ai binari», non sottraendosi mai ai rendiconti della vita, anche i più bui e dolorosi, ma illuminandoli di una luce di verità. Lo sfondo da bar da stazione e l’auto in corsa su cui Rondoni delinea i suoi tragitti, se da un lato costituiscono lo scenario naturale dei suoi versi, dall’altro consentono l’accesso ad un altrove notturno in cui sia dato ritrovare la dismisura immemoriale dei sogni e il poter ascoltare la vita nei suoi suoni segreti e anche nel suo pianto, portato «al ritmo giusto / dei cristalli». Se rivisitati dallo sguardo del poeta, che sa cogliere in essi i segni che un grande mistero lascia come una primavera incipiente e tremantissima, perfino luoghi anonimi come i bar, gli autogrill, le stazioni, possono trasformarsi in “luoghi dell’infinito”.
Il gettarsi nel movimento discontinuo, ondoso e ventoso dell’esperienza consente di far assumere alla poesia la giusta prospettiva per un cammino di verità e nello stesso tempo gli permette di tenere insieme da un lato il carattere del nomadismo e dall’altro quello della stanzialità. Il primo lo porta ad essere aperto a qualsiasi orizzonte, a gettarsi nel traffico congestionato delle autostrade, lungo i viali di città sconosciute, ad andare incontro alle apparizioni en plein air della luce e dell’ombra, il secondo lo porta a “rientrare” nello spazio circoscritto dallo sguardo della donna amata, a cui si affida attraverso un preciso gesto di custodia («custodisci / i miei respiri»). La figura femminile come una parca-madre scandisce il rituale della vita, fatta di capitoli di morte e nascite che le «porgono il braccio», la sostengono come balaustre della vita e la “rilanciano” verso un amore che non teme gli oltraggi del tempo. A lei è affidato il compito di “restare”e guardare entrare i propri cari nell’ombra dell’ultimo viaggio («partono in te / i velieri della fine»). È lei che movimenta il “gioco”, pivot della sua poesia, è lei che con-duce il poeta verso la visione che “accende” una nuova apertura verso la vita. Da essa nasce il canto del poeta che si dispiega alto, vibrante, e ci ricorda che «solo il battito d’eterno nell’ ora che va via» (Le donne sono il tempo degli uomini, Il bar del tempo) può trasformare le nostre miserie quotidiane e i nostri amori tristi in un racconto inaudito.
Sei un amore perché sei un racconto
Sei un amore perché sei
un racconto
e partono in te
i velieri della fine,
appaiono
sui parabrezza bagnati
i nomi di città sconosciute
i violinisti si sono addormentati
e sognano e suonano e sognano
sbagliando qualche nota ma
portano il pianto al ritmo giusto
dei cristalli
custodisci i miei
respiri
lasci impronte così nascoste
che le troverà solo il demonio
prima di mettere il cappello e
spegnere la luce
Dio con gli occhi di un ferito è entrato
travestito alla festa
chiede se c’è da bere qualcosa
e alza brindisi da lontano che ci strappano
il cuore.
Amore che non riesce a chiudere
il ventaglio dei baci
si confonde come uno in stazione
che guarda i treni, non sa mai partire
sperduto, felice –
sei un amore e sei un racconto
che ogni notte mi dimentico
e quando ti vedo ricostruisco
tra le nuvole inquiete,
rubando luci ai visi attoniti di santi dipinti
e alle biciclette abbandonate vicino ai binari
tutte le morti che hai traversato e le nascite
ti porgono il braccio –
sono lo stesso momento di sempre
da quando hai alzato lo sguardo
e il tuo respiro ha reciso il mio nome dal niente
Davide Rondoni