Avola (volo) di Paola Loreto è un libro d’arte che si compone di due poesie inedite e un’incisione originale dell’autrice con una nota critica di Elisabetta Motta. Questa edizione è stata composta con caratteri Garamond e stampata a mano su carta Amatruda di Amalfi da Luciano Ragozzino in collaborazione con Pierluigi Puliti con i torchi dell’ex gelateria di via Guinizelli 14 per i tipi de Il Ragazzo innocuo in 50 esemplari e 3p.d.a numerati e firmati, nel dicembre 2018
Testo critico di Elisabetta Motta
In Avola (volo) di Paola Loreto si coglie una verità che si coniuga con torsioni dolorose: i versi si contraggono e pulsano per dire ancora nell’oggi qualcosa di antico come l’uomo: la necessità e la difficoltà di accettare la malattia e infine la morte, realtà ancor più dolorose se si tratta di un proprio familiare.
Attraversare il vuoto per penetrare nella mente del padre che pare persa in una distanza abissale, cogliere la profondità del suo sguardo tornato bambino («uno sguardo profondo, senza fine, / che mi era meraviglia»), pronunciare la parola non detta che possa salvarlo: son questi i gesti proposti in questo monologo ad alta tensione emotiva che si fonda sulla pietas e sul valore del dolore condiviso.
Sono versi che ci permettono di assaporare il pathos e la forza intima e profonda di una parola che ancora può permettersi di celebrare l’umano nella sua fragilità. Nel passaggio dal primo al secondo testo si avverte infatti una pausa, un respiro, come se il dolore si fosse sedimentato e trasformato in una forma di accettazione dei nostri limiti di creature o sublimato in una sorta di preghiera silenziosa. L’ombra della finitudine e della morte che potrebbe condurre la poetessa a un “non sapere” ancora più marcato o a una disperazione che solo una fede nell’aldilà potrebbe arginare, produce invece in lei un ampliamento dello sguardo che consente di aprirsi alla speranza che nell’aldilà qualcosa di noi possa compiersi.
La paronomasia presente nel titolo sembra segnare una parabola ascendente che partendo da Avola, il luogo dove il padre è nato e dove ha trascorso gli anni giovanili, possa risalire verso l’alto per compiersi nel segno di una esistenza più alta. Misurarsi con l’altezza di questo volo superiore non è cosa facile neppure per lei alpinista e scalatrice abituata a salire in alta quota e risulta pesantemente in contrasto con il nostro essere radicati alla terra «al di sotto / senza altitudine / qua».
Chiamata ad esprimersi con un linguaggio altro rispetto alla parola poetica, nell’incisione che accompagna i testi Paola Loreto ha riprodotto due elementi che, legati ad Avola, sono simboli di ciò che il padre amava e fanno parte dell’immaginario della sua infanzia: le mandorle e il mare. Sono elementi stilizzati resi con un segno scarno che mette a nudo l’intimità e rispetto al rapporto con lo spazio crea nel vuoto il silenzio. Essi tuttavia non sembrano essere solo legati ai ricordi del passato ma sembrano piuttosto costituire una sorta di correlativo oggettivo della sua poetica. Resistere in questo caso significa anche coltivare il proprio “giardino d’infanzia”, abitare gli incerti confini tra terra e cielo, “andare a tempo” con le onde, i flussi e riflussi del tempo, sapendo che le parole a cui il poeta si affida sono scie, tracce, semi, mandorle odorose offerte in dono. Come la parola poetica serve a delimitare lo spazio del sacro così la mandorla forma uno spazio chiuso, protettivo che contiene il frutto, un segreto collegato alla nascita primordiale dell’universo. Compito del poeta è custodire questo nocciolo primigenio e ultimo della vita, che coincide con la sua essenza sacra, con il suo mistero ineffabile.
Avola (volo)
I
Avevi quello sguardo, alla fine,
profondo, senza fine,
che mi era meraviglia.
Mi chiedevo da dove
veniva. Cosa vedevi.
Due mondi attaccati
nella tua sola pelle,
padre, troppo
troppo sottile.
Chissà se c’eri,
dietro il boccone ingoiato
e dietro quello sputato.
Chissà se pensavi
strapparti tutto e scappare
oppure finire, per favore.
Non hai mai voluto
chiedere. E poi non hai
più potuto chiedere.
Non ho imparato
a dirti, mai, che
ce l’avresti fatta,
come hai fatto tu
un giorno con me
(salvandomi).
II
Chissà se hai raggiunto
questo volo
superiore
così fermo e costante
(posato nel distacco
possente nell’assenza
di sforzo o turbamento)
anche in mezzo alle nubi
nonostante tutto quanto
accade al di sotto
senza altitudine
qua.