
Il Quaderno del roseto 3 è un libro d’artita che contiene 7 poesie inedite
e un’acquaforte originale stampata da Luciano Ragozzino con caratteri Garamond su carta Amatruda di Amalfi con i torchi dell’ ex gelateria di via Guinizelli 14 per i tipi de Il ragazzo innocuo in 44 esemplari e 3 Pda numerati e firmati. Milano 19 maggio 2024. I poeti che hanno partecipato a questa edizione sono: Paola Loreto, Paola Turroni, Franca Mancinelli, Giancarlo Pontiggia, Gianni Salis, Laura Corraducci, Nicola Muschitiello.


La rivoluzione delle rose
Nel 1835 della Bella di Monza il medico Mezzotti scrisse: «nessuna rosa, io penso, raggiunge i meriti di quelle di questi Giardini Reali, che sono praticamente sempre in fiore e tra cui spicca la Rosa di Monza.»
Durante il mese di maggio, ormai da un decennio, celebriamo la Bella di Monza, un esemplare di rosa antica, creata all’inizio del XIX secolo da Luigi Villoresi e presente nel roseto della Villa Reale di Monza. È la rosa che fiorisce prima di tutte le altre, si trova all’ingresso, pronta ad accogliere i visitatori in un mondo fiabesco tutto fatto di rose: rose reali con petali come lingue di fuoco, damascene dal profumo intenso, dalle albe bianche rifiorenti, opulente e accese.
Le fioriture si ricompongono sempre uguali e puntuali come anime che rinascono: anche in una rosa si può percepire la vibrazione segreta del cuore, un sentire che è un intimo rituale, una pausa magica. Ed è in questo spazio profumato e spiumato che l’immaginazione può attingere la verità e percepire le voci antiche della nostra gente. Le emozioni si collegano a quell’armonia del tutto racchiusa in un semplice e piccolo bocciolo, pronto a dischiudersi con il primo levarsi del sole. Le rose, da sempre, sono abitate dalla poesia, una coniunctio alchemica: solo nel cielo si tratteggia il volo.
E se imparassimo a ritrovare il senso delle nostre vite all’interno dell’ordine naturale delle cose e non in quello globale, avido e totalitario in cui viviamo? Per fare questo bisogna amare e custodire i luoghi di bellezza dove ancora alberga una forza animica intrisa di significato.
In questo nostro tempo anche una nuvola, un sasso, un fiume…possono essere percepiti come messaggi; i fiori, gli alberi, i fiumi ci parlano e ci invitano ad un’altra resistenza: ci invitano alla rivoluzione dei fiori e delle rose.
Antonetta Carrabs
«È l’immortale rosa» quella che viene celebrata nei versi dei sette poeti inclusi nel terzo Quaderno del roseto: un concentrato di bellezza e sensualità, di carne e spirito, di grazia e bellezza che si rinnova in virtù del seme e con il mutare delle stagioni, ma che solo in poesia non perderà mai il suo splendore.
Ci conduce entro l’ambito religioso la poesia di Laura Corraducci intitolata Ventidue maggio, il giorno in cui si celebra santa Rita da Cascia e ai fedeli accorsi al suo santuario si regalano rose.
L’ inaspettata e straordinaria fioritura di un bocciolo un po’ pesto, ricevuto in dono quel giorno – come un germe di vita dischiuso dentro una situazione disastrosa – diviene occasione poetica per evocare la forza di quest’anima che è fiorita in Dio, ricordata come la santa delle grazie impossibili.
Rapita dal suo fuoco, Paola Loreto in Tea tesse l’elogio della femminile sensualità e carnalità di questo fiore che si fa ovario, esercizio del cuore, dei visceri e del sangue, tacito respiro immobile nei gorghi del tempo, esemplare offerta di grazia illuminante. I versi «il tesoro / è nella forma / inesauribile, l’inumana / fantasia di un labirinto / ineludibile» eleggono questo fiore come simbolo privilegiato per rappresentare l’Assoluto e farsi ricettacolo del mistero dell’esistenza.
I testi di Franca Mancinelli intitolati Nel peso della luce devono la loro nascita ai dipinti di Juan Carlos Ceci esposti nella mostra Cabina per anima, Traffic Gallery, Bergamo (5 maggio-16 settembre 2023). Nelle tele di questo artista compaiono nature silenti e rose fluttuanti, ritratte con tonalità sfumate dall’azzurro al rosa, i cui petali si fanno ali. Con la grazia e la levità che solo la parola poetica può avere, l’autrice ci fornisce la chiave di accesso per questi luoghi dello Spirito, «cabine» aperte su un mondo così luminoso da divenire abbacinante.
«Sarà vero che la rosa / fiorisce senza un perché ?» si chiede Nicola Muschitiello in Una rosa, con un’eco del grande Angelus Silesius. Pur non nutrendo alcuna pretesa di fornire a questa domanda una risposta assoluta, egli ci addita il percorso nel quale si è avventurato, arrivando ad una consapevolezza: quell’unica rosa sbocciata proprio per essere colta e offerta in dono all’amata «come per un sogno tardivo / che avvera un’illusione d’eterno» è al contempo portatrice struggente della consapevolezza di non essere, un giorno, più.
Come una rosa di Giancarlo Pontiggia ruota attorno al motivo del buio primordiale contrapposto al bagliore della fiamma che crea un confine mobile fra ombra e luce. Il significato poetico è racchiuso in quel fluttuare di sguardi e pensieri, di contraddizioni e misteri che si agitano da sempre dentro l’animo umano: bloccati in un’ansa di vita immobile oscilliamo «come una rosa, persa / in un suo delirio lontano» alla ricerca di una verità decisiva.
È dedicato a Sophie Scholl il testo La rosa bianca di Gianni Salis: attivista che venne arrestata assieme al gruppo La Rosa bianca per l’opposizione non violenta al regime nazista. La sua giovane vita recisa anzitempo (venne decapitata il 22 febbraio 1943) diviene «puro spettacolo di grazia» come le rose che ella contempla e di cui parla in una lettera a Fritz Hartnagel del 17 giugno 1940: «Sul mio comodino ci sono due rose. Lungo le foglie e gli steli immersi nell’acqua, minuscole perline si sono messe tutte in fila. Com’ è bello e puro questo spettacolo![…] Anche solo il fatto che tutto ciò esista è una grazia immensa.»
Panacea per tanti malanni, la rosa era fin dall’antichità utilizzata per uso cosmetico e medico. Paola Turroni nel suo testo Mille petali di rosa ci ripropone la ricetta contenuta nel De materia medica di Dioscoride (medico e botanico greco vissuto a Roma nel I secolo d. C.) per produrre un unguento con cui si cospargeva il corpo dei defunti, per mantenerlo integro e allontanare i cattivi odori. Malgrado lo sgretolarsi incessante dell’esistenza, attraverso la ritualità di questo gesto antico si intuisce il seme di una verità irriducibile aleggiante nel profumo della rosa, nel contatto della pelle, tra le intercapedini d’aria, soglie odorose e porose tra i due mondi. La sosta e l’attesa appaiono come le condizioni necessarie affinché le distanze possano svelare il loro rovescio segreto.
Elisabetta Motta